Lo scorso dicembre, molti europei avevano tirato un sospiro di sollievo quando quello che era sembrato il primo, decisivo successo elettorale della nuova ondata di populismo nazionalista di destra si era trasformato nel suo esatto contrario.
Il candidato verde indipendente Alexander Van der Bellen aveva vinto le elezioni presidenziali austriache, diventate un thriller politico nel quale erano in gioco valori democratici fondamentali. All’epoca Vienna era stata messa sotto assedio da parte della stampa internazionale, che si aspettava che Norbert Hofer, il candidato del Partito della libertà (Fpö), sarebbe diventato il primo capo di stato di estrema destra in una democrazia d’Europa occidentale da molto tempo a questa parte.
Le cose sono poi andate diversamente. E nei mesi successivi né Geert Wilders né Marine Le Pen in Francia sono riusciti a spodestare l’Europa centrista. Ma forse si è trattato solo di una breve tregua. L’Austria, e con lei l’Europa, potrebbero davvero passare dalla padella alla brace. E ancora una volta è l’Austria a trovarsi al centro delle attenzioni.
Una macchina del fango
Alla vigilia delle elezioni parlamentari austriache del 15 ottobre, è difficile immaginare una coalizione di governo che non includa il Partito della libertà, una formazione apertamente xenofoba e profondamente anti Unione europea. E la possibilità che Norbert Hofer, il candidato presidenziale sconfitto, faccia un ritorno sulle scene europee come ministro degli esteri austriaco non appare più un’ipotesi inverosimile. Al contrario, si tratta di una possibilità molto realistica.
Nelle scorse settimane, il Partito della libertà ha tratto giovamento da vari scandali che hanno colpito, prima di tutti, i socialdemocratici (Spö), che hanno invece scatenato una sgradevole macchina del fango nei confronti dei loro ex partner di coalizione, i cristianodemocratici (Övp).
Al centro dell’attenzione ci sono due pagine Facebook che, millantando identità false e ricorrendo a fake news e teorie del complotto antisemite, hanno cercato di gettare fango sul capo dell’Övp, Sebastian Kurz.
Una di queste due pagine, intitolata “La verità su Sebastian Kurz”, ha attaccato il trentunenne ministro degli esteri con argomenti di destra, definendolo il leccapiedi dell’investitore magiaro-statunitense George Soros, il quale starebbe pianificando di aprire le frontiere dell’Europa a una nuova ondata di migranti islamici. Il fatto che Kurz si sia fatto un nome in quanto fautore della linea dura contro i migranti e che ami prendersi il merito della chiusura della cosiddetta rotta balcanica non sembra un problema nell’attuale contesto. L’obiettivo di questi falsi post era spingere gli elettori di destra più radicali lontano dall’Övp.
L’altra pagina, “Noi siamo con Kurz”, era invece costruita per sembrare opera di sostenitori dell’Övp, ma estremizzandone le posizioni e le argomentazioni per far apparire Kurz come un estremista fomentatore d’odio. In questo caso l’obiettivo era naturalmente allontanare gli elettori più moderati.
Gli intrighi e gli stravolgimenti che attualmente colpiscono il paese ricordano la serie televisiva House of cards
Entrambe le pagine sono una creazione di Tal Silberstein, ingaggiato dai socialdemocratici come consulente per la campagna elettorale. Silberstein è un noto esperto internazionale di “campagne sporche”, vale a dire la diffusione deliberata d’informazioni negative a proposito dei candidati avversari. O, detto con altre parole, campagne denigratorie che ricorrono a tutti i mezzi disponibili e che fanno della verità un concetto liberamente adattabile.
A poco serve, per l’Spö, l’aver licenziato Silberstein alcuni mesi fa, dopo che l’uomo è stato arrestato in Israele con l’accusa di riciclaggio di denaro sporco. Il danno era ormai fatto, sia per il partito sia per il suo capo Christian Kern, il quale, da quando era stato nominato cancelliere, aveva coltivato un’immagine di politico nuovo, pulito, indifferente alle lotte e alle campagna diffamatorie. Le pagine Facebook hanno continuato a essere attive molto tempo dopo la fine della collaborazione con Silberstein. Da chi e con quale denaro? Sono domande che molto probabilmente troveranno una risposta solo dopo le elezioni, in un’aula di tribunale.
I commentatori politici austriaci hanno paragonato gli intrighi e gli stravolgimenti repentini che attualmente colpiscono il paese alla serie televisiva House of cards. Chiunque abbia visto il modo in cui, nella finzione della serie, la coppia presidenziale composta da Claire e Frank Underwood manipola non solo i rapporti tra partito democratico e repubblicano a Washington ma l’intero sistema democratico capirà in quale situazione di caos si trova oggi l’Austria.
Un campanello d’allarme
È forse comprensibile che dei movimenti politici che si trovano con le spalle al muro vogliano difendersi. E la socialdemocrazia europea si trova indubbiamente in una condizione simile: in Francia i socialisti sono praticamente scomparsi dallo scacchiere politico, e nelle recenti elezioni tedesche l’Spd si è trasformata da un colosso che sosteneva lo stato a un partito di medie dimensioni come ne esistono molti altri. Non stupisce che simili partiti in crisi siano oggi disposti a tutto, replicando verso altri i cattivi trattamenti di cui sono stati vittime.
Non solo l’Fpö in Austria, ma anche l’Afd in Germania oppure Donald Trump negli Stati Uniti hanno alimentato, con grande successo, campagne denigratorie in cui hanno dipinto i loro avversari, se non come il diavolo in persona, quantomeno come figure ineleggibili.
E quindi, dal punto di vista psicologico, è comprensibile che i socialdemocratici abbiano percepito il campanello d’allarme. Ma la consapevolezza delle conseguenze della cosa sembra essere arrivata troppo tardi. Adesso devono fare i conti con la situazione che essi stessi hanno creato.
L’Austria è un piccolo mondo, ma nel quale il grande mondo fa le sue prove generali
Alla fine degli anni novanta, l’Austria ha giocato una partita di calcio con la Spagna. All’intervallo, stava perdendo cinque a zero. Uno dei giocatori austriaci, alla domanda su come sarebbe finita, ha risposto che, ormai, la sua squadra avrebbe difficilmente ottenuto una grande vittoria.
La partita è finita nove a zero.
Questa sembra essere oggi la situazione dei socialdemocratici austriaci. Invece di sfidare i loro ex compagni di coalizione dell’Övp per il maggior numero di consensi, mirano ad arrivare secondi. È probabile che non riescano a fare nemmeno questo, e che vengano surclassati dal Partito della libertà.
Come spesso accade tra due contendenti è il terzo a godere. E i rappresentanti dell’Fpö faticano a trattenere la loro gioia. Dopo aver cominciato questa campagna elettorale in maniera molto aggressiva, oggi – specialmente nei dibattiti che intasano i palinsesti televisivi austriaci – si mettono letteralmente comodi e si godono un deprecabile spettacolo che non diverte o avvantaggia nessuno se non loro stessi.
Tuttavia la lezione che va tratta da questo scandalo oltrepassa i confini austriaci.
Quando i rappresentanti di partiti politici con antiche e rispettabili tradizioni democratiche cominciano a rinunciare ad alcune delle più fondamentali conquiste della cultura politica democratica, questo non cambia solo i partiti stessi ma l’intero paesaggio politico. Questa evoluzione riguarda tanto gli austriaci che domenica andranno a votare (o magari decideranno di restare a casa) quanto tutto il resto dell’Europa.
“L’Austria è un piccolo mondo, ma nel quale il grande mondo fa le sue prove generali”, scriveva già nel diciannovesimo secolo il drammaturgo e poeta Friedrich Hebbel. La sporca commedia elettorale che va in scena attualmente nella repubblica alpina potrebbe presto trasformarsi in una grande tragedia europea.
(Traduzione di Federico Ferrone)
In collaborazione con VoxEurop.
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