“L’hanno ucciso come uno di noi”, hanno gridato i rivoluzionari egiziani quattro anni fa dopo l’omicidio del ricercatore italiano Giulio Regeni. Si riferivano all’impensabile ondata di arresti e torture di chiunque vada contro il potere del generale Al Sisi. Quattro anni dopo, un gruppo di studiosi italiani e britannici pubblica un libro in cui spiegano cosa è cambiato per la ricerca dopo l’assassinio di Giulio Regeni e perché l’”interesse nazionale” deve essere messo in discussione.
La pubblicazione di un libro come Minnena. L’Egitto, l’Europa e la ricerca dopo l’assassinio di Giulio Regeni curato da Lorenzo Casini, Daniela Melfa e Paul Starkey è importante su più livelli. In primis, perché ricorda che giustizia non è ancora stata fatta, quattro anni dopo il feroce assassinio del ricercatore italiano al Cairo.
Il 25 gennaio, su iniziativa di Amnesty international ci saranno delle fiaccolate in tutta Italia: “Quello che è accaduto a Giulio Regni non è un fatto isolato”, spiega l’organizzazione per i diritti umani, che nel rapporto Egitto: “Tu ufficialmente non esisti”. Sparizioni forzate e torture in nome del contrasto al terrorismo, spiega come centinaia di studenti, attivisti politici e manifestanti, compresi dei quattordicenni, spariscano nelle mani dello stato senza lasciare traccia.
La ricerca italiana e britannica unita per Regeni
Una pubblicazione come Minnena era diventata urgente anche perché la comunità scientifica ha il dovere di essere vicina a una famiglia che combatte da sola, con coraggio, dignità e intelligenza per la ricerca della verità. Ma soprattutto perché questo caso va oltre la cronaca, avendo svelato una terribile contraddizione nella “diplomazia democratica” dell’Unione europea e in particolare dei due paesi principalmente coinvolti: l’Italia perché Regeni era un cittadino italiano e il Regno Unito perché studiava in uno dei suoi più prestigiosi atenei, l’università di Cambridge.
In un’epoca di divisioni in Europa – la Brexit penalizza molto la cooperazione scientifica europea – questo lavoro collettivo mostra al contrario quanto sia importante la collaborazione di due importanti associazioni per lo studio del Medio Oriente, come Sesamo, la Società degli studi sul Medio Oriente e Brismes, la British society for middle eastern studies. Infine, si tratta di un libro di ricerche approfondite, che evidenzia come il caso Regeni sia stato malgestito, a cominciare da un certo tipo di mezzi d’informazione e da sedicenti esperti che non potranno mai sostituire la ricerca, tanto meno quella sul campo.
Il capitolo di Mariavita Cambria – Non consentiremo che venga calpestata la dignità del nostro paese – analizza con il metodo quantitativo le reazioni dei lettori al caso Regeni sui mezzi d’informazione italiani e britannici, dissolvendo la cacofonia sorta nei primi mesi dopo l’omicidio. Ricorderemo solo una delle peggiori e più oltraggiose accuse rivolte alla sua tutrice di Cambridge, Maha Abdelrahman, pubblicate dal quotidiano la Repubblica. Tutti i ricercatori del volume insistono – oggi come all’epoca – nel dare il loro pieno appoggio alla docente.
Elisabetta Brighi osserva che la “giustizia per Giulio è stata sacrificata sull’altare dell’interesse nazionale”
Commenti e accuse senza fondamento sono stati comunque ripresi dai social, spiega Cambria, mentre non sono stati ascoltati quelli che hanno studiato sul campo. Un altro articolo particolarmente commovente è quello della ricercatrice Teresa Pepe. Partita per il Cairo a incontrare il giovane scrittore Ahmed Nagi, non avrà mai l’opportunità di avere una conversazione con lui perché lo scrittore è stato buttato in carcere nello stesso periodo della scomparsa di Giulio Regeni.
Pepe racconta quanto siano interconnesse le ricerche sul campo e l’amicizia, descrive il senso di smarrimento dopo l’arresto dell’autore ma anche quanto siano importanti “le storie personali degli esseri umani in carne e ossa che noi ricercatori incontriamo dietro i libri e durante le nostre ricerche, nonché il valore del nostro operato nella vita delle persone”. Una volta scarcerato, Nagi è andato in esilio negli Stati Uniti. Pepe, con le sue ricerche, lo ha aiutato a dimostrare di essere perseguitato in Egitto per la sua richiesta di asilo presentata alle autorità statunitensi.
Quali interessi sono considerati nazionali e perché?
Il capitolo che apre la pubblicazione pone una domanda cruciale per l’identità stessa dell’Unione europea. In Illusioni di democrazia, illusioni di stabilità: la politica estera dell’Italia verso l’Egitto alla luce del caso Giulio Regeni, Elisabetta Brighi parte dall’osservazione che “la giustizia per Giulio è stata sacrificata sull’altare dell’interesse nazionale” e mette in discussione precisamente questo concetto spesso sostenuto da diversi giornali italiani.
Nel marzo 2015, l’Eni firma con l’Egitto un accordo per l’investimento di cinque milioni di dollari. Sempre nel 2015, l’Eni scopre il più grande bacino di gas mai trovato nel Mediterraneo e uno dei più grandi al mondo: lo chiamano Zhor. L’Italia collabora anche con l’Egitto sul fronte antiterrorismo e la gestione delle migrazioni. Il riavvicinamento tra i due paesi si fa sempre più pressante a causa “dell’interesse nazionale”. Regeni è ucciso nel 2016, nel mezzo di questo forte riavvicinamento.
Brighi sottolinea che durante questo periodo l’Italia ha incrementato la fornitura di armi per la lotta antiterrorismo e in particolare “armi di piccolo calibro e software di sorveglianza” che “sono spesso state utilizzate dal regime di Al Sisi per la repressione interna”.
Di fondo, quello che contesta l’autrice è che “si è assistito all’innalzamento di interessi particolari e privati al rango di affari di stato: agli ingenti interessi commerciali italiani in Egitto, in particolare a quelli del gigante degli idrocarburi italiano, l’Eni, è stato agevolmente riconosciuto il manto protettivo dell’interesse nazionale”. E Brighi cita lo studioso James N. Rosenau che chiedeva negli anni settanta: “Quali interessi sono giudicati nazionali e perché?”. Perché la richiesta di verità di migliaia di persone presenti alle fiaccolate non è stata considerata come “interesse nazionale”? Inoltre, l’Italia ha rinunciato alla democrazia democratica e “pare avere accettato di essere controllata secondo i termini e le condizioni imposte al Cairo”. Brighi, conclude quindi che:
Il carattere fortemente antidemocratico della politica estera di numerosi stati europei, tra cui l’Italia nei confronti di paesi come l’Egitto non lede solo le prospettive democratiche all’interno dell’Egitto. Piuttosto, e prima di tutto, questo erode gli standard democratici degli stati europei in questione.
Paul Starkey, a lungo vicepresidente del Brismes è ancora più duro nel suo giudizio sul governo britannico che, ricorda il professore, non ha fatto nemmeno il gesto simbolico dell’Italia di richiamare il suo ambasciatore al momento dei fatti. Quello che traspare dal suo saggio è che l’Egitto di Al Sisi è il governo più brutale della storia recente dell’Egitto e che l’omicidio di Regeni rappresenta un reale spartiacque per le ricerche sul campo:
Il caso ha fatto venire a galla una serie di importanti questioni, interconnesse, fra cui questioni di libertà accademica, delle limitazioni alla ricerca sul campo nel Medio Oriente contemporaneo, e dell’’obbligo di assistenza’ che le università devono assicurare ai propri studenti, per non parlare poi di problematiche che vanno bene oltre gli affari prettamente accademici, tra cui il basilare stato dei diritti umani nella regione mediorientale, e cosa definisca una ‘politica estera etica’.
Giulio Regeni era un grande amico degli egiziani. Tra amici è importante conoscersi, parlare la lingua dell’altro, incontrarsi ma anche poter chiedere fino a che punto possiamo rimanere amici con la dittatura di Al Sisi. Paola Regeni, la madre di Giulio, nel suo intervento alla sottocommissione dei diritti umani al Parlamento europeo osservava che l’Egitto non si può considerare un “paese amico”; perché “non si uccidono i figli degli amici”.
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