Gli effetti collaterali delle nuove sanzioni statunitensi contro la Siria
Caesar è il nome in codice di un fotografo della polizia militare siriana. Nel 2014 riuscì a scappare portando con sé 55mila fotografie di cadaveri seviziati e torturati nelle prigioni del paese. Le foto hanno fatto il giro del mondo e sono oggi inestimabili prove a carico del regime di Bashar al Assad per documentare l’uso della violenza nelle carceri siriane.
Le udienze del fotografo siriano davanti al congresso statunitense, nel 2014, hanno portato all’approvazione, dopo anni di pressioni dell’opposizione siriana in esilio negli Stati Uniti, di un testo di legge chiamato Caesar act, un pacchetto di sanzioni economiche destinato a colpire il governo siriano che entra in vigore il 17 giugno 2020. E oggi questa iniziativa spaventa i siriani più del coronavirus, scrive il giornale indipendente siriano Enab Baladi.
Il Caesar act ha qualcosa di inedito, spiega il sito indipendente arabo Daraj, secondo il quale “potrebbe diventare una pietra miliare nella storia delle sanzioni contro il regime siriano”, già in vigore dagli anni settanta e inasprite dall’inizio delle proteste del 2011. La legge, che rientra nel bilancio della difesa statunitense per il 2020, non riguarda solo chi investe in Siria, ma qualunque scambio con quel paese nei settori delle costruzioni, dell’ingegneria o dell’aviazione militare.
I centri di ricerca s’interrogano sull’efficacia delle sanzioni come strumento per favorire cambi di regime
L’intento di Washington è dare il colpo finale al regime dopo nove anni di conflitto e provare, scrive Al Araby al Jadid, a vincere la guerra economica contro Assad laddove la Russia ha vinto militarmente. Secondo Anton Mardasov, un esperto della politica estera russa in Medio Oriente, tali misure però non avranno l’effetto voluto: molti degli investitori citati erano già sulle liste nere statunitensi e non temono le sanzioni perché, osserva Mardasov, non avrebbero interesse a lavorare con il sistema finanziario statunitense in futuro.
I centri di ricerca europei e statunitensi, dal canto loro, s’interrogano sull’efficacia delle sanzioni economiche come strumento per favorire cambi di regime. Alcuni commentatori si augurano che la legge porti alla definitiva caduta di Assad mentre altri autori citano i casi delle sanzioni all’Iran e all’Iraq, che non sono mai riuscite a deporre i dittatori. Altri ritengono che le sanzioni avranno un effetto contrario, rafforzando un regime che fa man bassa dell’economia, come ha recentemente testimoniato la lotta intestina tra Assad e suo cugino, il milionario Rami Makhlouf, o ancora che possa offrire argomenti alla propaganda governativa. Il quotidiano di regime Al Watan ha dato parecchio riscontro al discorso del ministro della salute siriano, Nizar Yazigi, che ha attribuito la crisi sanitaria alle sanzioni: “Gli Stati Uniti e i paesi europei continuano a imporre misure coercitive alla Siria e un blocco economico disumano, che impediscono al settore sanitario di rispondere alla pandemia”.
Cosa ne sarà, invece, dei siriani, sfiniti da nove anni di guerra? “Chi pagherà alla fine il prezzo più alto dopo il Caesar act?”, si chiede in copertina il giornale indipendente siriano Enab Baladi.
Effetto domino
Dopo nove anni di guerra, la situazione economica della Siria è tragica e la crisi finanziaria che sta vivendo il Libano le ha assestato l’ultimo colpo. Negli ultimi decenni le banche del Libano sono state una valvola di sfogo per gli investitori siriani. Con il crollo della lira libanese a cinquemila lire per un dollaro, e la caduta della lira siriana stessa, la crisi finanziaria sta scavalcando quella economica in entrambi i paesi.
In meno di un anno, la lira siriana ha perso oltre il 70 per cento del suo valore rispetto al dollaro, mentre i prezzi dei prodotti alimentari di base sono aumentati del 69 per cento, secondo il Programma alimentare mondiale. Per l’economista siriano Mahmoud al Qadi, parlare di povertà estrema è un eufemismo: “Nel 2011 in Siria un reddito considerato basso era di circa 300 dollari al mese, mentre oggi è stimato a 30 dollari, una cifra molto al di sotto dell’estrema soglia di povertà”. Lo stesso pessimismo è condiviso dalle organizzazioni umanitarie, le quali temono che la crisi siriana sia accelerata dall’applicazione del Caesar act e possa condurre a una carestia su grande scala.
L’economista siriano Jihad Yazigi, caporedattore del sito economico The Syria Report, condivide lo scetticismo sugli effetti positivi della legge nell’immediato, ma ne intravede le ricadute sul lungo termine. Se molti paesi, come gli Emirati Arabi Uniti, la Cina o la Russia erano pronti a partecipare alla ricostruzione, “il Caesar act rappresenta un deterrente per qualsiasi azienda o istituzione straniera che volesse investire nell’economia siriana. In questo modo uccide soprattutto le prospettive di una ricostruzione del paese su larga scala”.