Dall’esplosione che il 4 agosto 2020 ha devastato il porto di Beirut, ucciso più di duecento persone e danneggiato gran parte della città, i libanesi si chiedono come si possa vivere in un paese in cui la corruzione ha reso impossibile l’esistenza. Due film aiutano a capire questa sensazione e la crisi che da anni vive il paese.
Il primo è una pellicola di finzione e si intitola Costa Brava, Lebanon. È l’esordio di Mounia Akl ed è uscito al cinema nel 2021. Il secondo è il documentario Dancing around the volcano (2023), in cui Cyril Aris racconta l’avventura che è stato girare quel film. Una specie di Lost in La Mancha libanese. Come il documentario che racconta la cattiva sorte che ha imperversato contro Terry Gilliam mentre provava a realizzare un film su Don Chisciotte, Dancing around the volcano descrive le difficoltà che hanno colpito l’opera di Akl, ma è ancora più potente, perché allarga lo sguardo a un intero paese, preso in ostaggio dalla corruzione, dalla spazzatura e dal covid.
Mounia Akl e Cyril Aris sono diventati famosi in Libano da giovani, intorno agli anni dieci del duemila, postando una loro miniserie amatoriale su YouTube. Il titolo era Beirut, i love you e la colonna sonora era firmata dall’iconica band indipendente Mashrou’ Leila. Con un ritmo serrato Beirut, i love you parlava con umorismo e leggerezza di amore e amicizia, mentre la città, imperfetta ma amata, animava il sottofondo. Quei video hanno avuto così tanto successo che l’emittente libanese Lbc ha comprato i diritti e glieli ha fatti girare in modo professionale.
Molti anni dopo, il 3 agosto 2020, Mounia Akl riceve l’ok definitivo per girare Costa Brava, Lebanon. Il 4 agosto, giorno dell’esplosione al porto, Cyril Aris è in auto e sta andando alla loro casa di produzione: “Per prima cosa ho chiamato Mounia, volevo avvertirla che c’era stata un’esplosione”, dice. “Ma lei mi ha risposto che intorno a lei c’erano solo macerie e sangue. Poi ho sentito mia sorella: il muro di casa sua era crollato. E a questo punto mi sono chiesto quanto doveva essere stata grande quell’esplosione. È una domanda che ricorre spesso nel nostro trauma collettivo”.
L’esplosione al porto di Beirut è stata causata dalla detonazione di migliaia di chili di nitrato di ammonio, confiscati e ammassati nel porto nonostante la pericolosità del materiale fosse nota e fosse stata segnalata diverse volte alle autorità.
Il documentario di Cyril Aris comincia da lì. Il regista filma tutto quello che ha intorno, segue molti dei suoi amici, artisti e attivisti, che si chiedono se e come ripartire da quel disastro. Tuttavia, si accorge subito che la troupe del film di Akl, amici e persone con cui collabora da anni, rappresenta un focus più preciso e intimo: tutti si chiedono se girare il loro film in quel contesto di crisi, peggiorato anche dalla pandemia di covid-19. Alcuni non hanno la forza per proseguire, altri non capiscono cosa fare per ridare un senso alle cose. “Si chiedevano se c’era ancora speranza, io stesso mi facevo questa domanda e se si trattava di resistenza culturale o di negazione della realtà”, spiega Aris.
Costa Brava, Lebanon ritrae una coppia che, dopo aver preso parte alle mobilitazioni contro la classe politica nel 2019, perde tutte le illusioni di cambiare la politica corrotta del paese e va a vivere in autarchia sulle montagne del Libano, con la nonna e la figlia. Ma il paese non li lascia mai in pace. Nel film si torna nelle loro vite sotto forma di una discarica enorme, che sotterrerà gli ulivi del loro giardino. Non si sfugge alla corruzione e alla distruzione del paese. Nadine Labaki – protagonista del film e regista candidata agli Oscar con Cafarnao (2018) – e Saleh Bakri, famoso attore palestinese d’Israele, sono magistrali.
Per Mounia Akl e Cyril Aris sembra impossibile non avere Beirut e il Libano al centro delle loro opere. “Questa città ci riacchiappa anche quando vogliamo scappare”, spiega Aris. “L’esplosione al porto è stata anche questo, un modo che la città ha trovato per irrompere nella vita anche di chi non aveva problemi economici. La corruzione è così diffusa che riesce a entrare perfino nel salotto di casa”.
Come mostra il documentario di Aris, Mounia Akl ha affrontato l’impossibile per realizzare il suo film. Saleh Bakri, il protagonista, ha dovuto attraversare tre paesi per arrivare in Libano, superando blocchi israeliani e restrizioni per la pandemia, rischiando ogni volta di essere fermato in un viaggio che in tempi normali sarebbe durato meno di un’ora. Le gemelle attrici del film sono risultate positive al covid-19 la prima settimana delle riprese. Inoltre, nel bel mezzo della crisi finanziaria è stato spesso impossibile ritirare i soldi necessari alle riprese, denaro che tra l’altro si svalutava in giornata. Per non parlare delle interruzioni di corrente e della mancanza di benzina.
“Se riesco a fare il mio film, non avrai un buon documentario, e viceversa”, aveva detto Mounia Akl a Cyril Aris mentre girava. Invece, sono riusciti a realizzare sia Dancing around the volcano sia Costa Brava, Lebanon. Entrambi i film, che si nutrono a vicenda e sono da vedere insieme, rappresentano una riflessione sul ruolo dell’arte in situazioni così disperate.
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