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Il sogno cinese conquista l’America Latina

Il premier cinese Li Keqiang con la presidente cilena Michelle Bachelet a Santiago, il 25 maggio 2015.

Dopo Brasile, Colombia e Perù, la visita del primo ministro cinese Li Keqiang in America Latina si conclude oggi in Cile, il primo paese della regione ad avviare, negli anni sessanta, rapporti diplomatici con la Repubblica popolare e a firmare con Pechino un trattato di libero scambio.

Li, arrivato insieme alla moglie e a una delegazione di 120 uomini d’affari, ha già annunciato investimenti per cinquanta miliardi di dollari solo in Brasile, destinati principalmente a progetti infrastrutturali. Tra tutti, una ferrovia transamazzonica che collegherà i due oceani. Quasi quattromila chilometri di strada ferrata che hanno già scatenato polemiche da parte di ambientalisti e comunità indigene, ma che abbasserebbero notevolmente le spese e i tempi di trasporto dei beni importati. All’inizio dell’anno il presidente Xi Jinping aveva annunciato che gli scambi commerciali tra la Cina e l’America Latina nei prossimi dieci anni arriveranno a 500 miliardi di dollari. E la Cina è già la principale destinazione di petrolio, rame, ferro e soia prodotti nella regione.

I governi dell’America Latina vedono sempre di più Pechino come una valida alternativa agli Stati Uniti e alle condizioni imposte dal Fondo monetario internazionale e dalla Banca mondiale. Secondo quanto riportato da Forbes, la China development bank ha già prestato ai paesi dell’America centrale e meridionale più denaro che l’InterAmerican development bank e la Banca mondiale insieme. Un paradosso se si pensa che, anche se l’economia cinese sta per spodestare il primato statunitense, molti paesi dell’America Latina hanno un pil pro capite superiore a quello della Repubblica popolare. Ma il Fondo monetario internazionale ha previsto che quest’anno la crescita economica della regione calerà di un altro punto percentuale.

“Nessuna strategia è senza rischio”, si legge in un articolo del China Daily, che presenta il progetto della ferrovia transamazzonica come un’occasione di essere meno dipendenti dallo stretto di Panama. Un’altra sfida alla supremazia geopolitica statunitense, stavolta proprio nella regione che da sempre è considerata il suo “cortile”. “La presenza cinese in America Latina”, ha specificato a questo proposito l’agenzia di stampa governativa Xinhua, “non ha intenzione di gareggiare con nessuno. È una partnership con la regione e non è diretta contro nessuna terza parte”. In particolare, conclude l’editoriale, “la Cina sarebbe felice se altri paesi sostenessero le necessità di sviluppo della regione. Un’America Latina vibrante e prospera sarebbe un beneficio per il mondo intero, Cina compresa”.

Ma c’è chi accoglie le dichiarazioni cinesi con scetticismo. Un’opinione sulle colonne del brasiliano O Globo individua diversi punti critici della questione, tra cui il fatto che molti degli accordi precedentemente stipulati non sono mai andati oltre la firma dell’accordo stesso. “Dobbiamo tenere a freno l’euforia”, si legge nel pezzo significativamente titolato “Il denaro cinese non risolverà tutti i nostri problemi”.

Ma c’è un punto che nessuno può mettere in discussione. Nonostante le politiche sociali discutibili, Pechino ha trasformato la Cina in un’economia in grado di competere con gli Stati Uniti, anche nel campo delle infrastrutture e delle telecomunicazioni. In trent’anni ha sollevato dalla povertà 600 milioni di persone e sono ormai molte le economie in via di sviluppo che vorrebbero che il “sogno cinese” si applicasse anche ai loro paesi. Con tutti i rischi per l’ambiente e per il dibattito democratico che questo comporta.

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