La fecondazione eterologa resta un diritto per pochi privilegiati
Due anni fa la corte costituzionale dichiarava l’illegittimità del divieto della cosiddetta eterologa, cioè la possibilità di ricorrere a un gamete altrui.
Caduto il divieto, è davvero possibile accedere a questa forma di procreazione medicalmente assistita (pma)? Non tanto, secondo l’inchiesta di Elvira Zaccari e Filippo Poltronieri, realizzata per l’associazione Luca Coscioni.
Prima di elencare gli ostacoli nei dettagli, è bene rileggere le motivazioni della sentenza 162 dell’aprile 2014.
La corte ha ribadito che:
la scelta di tale coppia di diventare genitori e di formare una famiglia che abbia anche dei figli costituisce espressione della fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi, libertà che, come questa corte ha affermato, sia pure ad altri fini ed in un ambito diverso, è riconducibile agli artt. 2, 3 e 31 Cost., poiché concerne la sfera privata e familiare. Conseguentemente, le limitazioni di tale libertà, ed in particolare un divieto assoluto imposto al suo esercizio, devono essere ragionevolmente e congruamente giustificate dall’impossibilità di tutelare altrimenti interessi di pari rango (sentenza n. 332 del 2000). La determinazione di avere o meno un figlio, anche per la coppia assolutamente sterile o infertile, concernendo la sfera più intima ed intangibile della persona umana, non può che essere incoercibile, qualora non vulneri altri valori costituzionali, e ciò anche quando sia esercitata mediante la scelta di ricorrere a questo scopo alla tecnica di pma di tipo eterologo, perché anch’essa attiene a questa sfera. In tal senso va ricordato che la giurisprudenza costituzionale ha sottolineato come la legge n. 40 del 2004 sia appunto preordinata alla “tutela delle esigenze di procreazione”, da contemperare con ulteriori valori costituzionali, senza peraltro che sia stata riconosciuta a nessuno di essi una tutela assoluta, imponendosi un ragionevole bilanciamento tra gli stessi (sentenza n. 151 del 2009).
La corte ha anche ricordato che l’avere figli – indipendentemente dal dato genetico – è considerato favorevolmente e che non dovrebbero esserci ostacoli insuperabili al raggiungimento di tale fine.
La libertà e volontarietà dell’atto che consente di diventare genitori e di formare una famiglia, nel senso sopra precisato, di sicuro non implica che la libertà in esame possa esplicarsi senza limiti. Tuttavia, questi limiti, anche se ispirati da considerazioni e convincimenti di ordine etico, pur meritevoli di attenzione in un ambito così delicato, non possono consistere in un divieto assoluto, come già sottolineato, a meno che lo stesso non sia l’unico mezzo per tutelare altri interessi di rango costituzionale.
Non c’è solo il rimando al diritto di avere una famiglia, ma addirittura al diritto alla salute (fisica e psichica).
In relazione a questo profilo, non sono dirimenti le differenze tra pma di tipo omologo ed eterologo, benché soltanto la prima renda possibile la nascita di un figlio geneticamente riconducibile ad entrambi i componenti della coppia. Anche tenendo conto delle diversità che caratterizzano dette tecniche, è, infatti, certo che l’impossibilità di formare una famiglia con figli insieme al proprio partner, mediante il ricorso alla pma di tipo eterologo, possa incidere negativamente, in misura anche rilevante, sulla salute della coppia, nell’accezione che al relativo diritto deve essere data, secondo quanto sopra esposto.
Ricorrere a un gamete altrui deve essere possibile e vietarlo viola interessi forti e innegabili.
Una sentenza chiara dunque, ma rimasta una promessa non mantenuta.
Nonostante le rassicurazioni del ministro della salute (era il luglio 2014), infatti, l’eterologa non è nei livelli essenziali di assistenza (prestazioni e servizi che il servizio sanitario nazionale è tenuto a fornire ai cittadini) e l’eliminazione di un divieto legale non ha reso la tecnica molto più accessibile. Non ci sono fondi per garantire le tecniche nelle strutture pubbliche, quindi la discriminazione d’accesso rimane nonostante la corte parlasse di un diritto alla salute – non di un capriccio. La genitorialità sembra essere sacra e importantissima solo quando non richiede l’intervento di tecniche riproduttive, soprattutto alcune di queste.
Come ai tempi del divieto le soluzioni sono varie, dalle più casalinghe a quelle più tradizionali. C’è chi si organizza con un donatore amico, chi cerca su forum o banche del seme online, chi va in un altro paese.
Zaccari e Poltronieri raccontano alcune delle soluzioni alternative a quella che dovrebbe essere la procedura dal 2014. A chi ordina i gameti su internet, scegliendo in base all’autopresentazione dei donatori, arriva un contenitore di ghiaccio o azoto liquido. Lo spirito di iniziativa non manca, come non mancano le discriminazioni e i rischi in pratiche non attentamente monitorate. Complice anche la pigrizia istituzionale. Non c’è mai stata una campagna informativa e non sono previsti rimborsi per chi dona (e nemmeno la giornata lavorativa pagata). Chi ha bisogno di gameti femminili ha difficoltà ancora maggiori, perché il prelievo degli ovociti è una procedura molto più impegnativa del prelievo di gameti maschili.
Si importano gameti dall’estero? Forse. Ma non ci sono risposte ufficiali. Il centro nazionale trapianti e l’istituto superiore di sanità non danno informazioni e dati al riguardo. Gli unici disponibili sono quelli presenti nella relazione della responsabile del registro pma Giulia Scaravelli. Nei primi 6 mesi del 2015 sarebbero stati importati 855 contenitori di cellule riproduttive congelate: 441 con liquido seminale, 315 con ovociti e 99 con embrioni.
Un diritto privo di mezzi per applicarlo rimane in un limbo in cui chi è privilegiato può provare a realizzarlo
Le regioni hanno provato a garantire l’applicazione delle tecniche eterologhe approvando il Documento sulle problematiche relative alla fecondazione eterologa a seguito della sentenza della Corte costituzionale nr. 162/2014 del 4 settembre 2014. Basilicata, Campania, Calabria e Sardegna non hanno recepito il documento, e le altre regioni hanno comunque diverse difficoltà nell’applicare la decisione della corte.
Di fatto l’accesso è garantito solo in Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia e Toscana, con tempi di attesa molto lunghi (in Toscana la prima data disponibile è luglio 2017).
Il Piano nazionale per la fertilità celebra la Genitorialità (con la “G”) e intende favorire la natalità sviluppando politiche educative e sanitarie. Si prefigge di “informare i cittadini sul ruolo delle Fertilità” (sic), di “fornire assistenza sanitaria qualificata” e di “celebrare questa rivoluzione culturale istituendo il ‘Fertility Day’ […] dove la parola d’ordine sarà scoprire il ‘Prestigio della Maternità’”.
Il ministero della salute avrebbe dovuto chiarire che la maternità è prestigiosa solo se naturale, perché se hai bisogno di ricorrere alle tecnologie riproduttive forse non sei tanto da celebrare. È curioso che il Piano si concentri molto sulla diminuzione della natalità, affidandosi però a rimedi influenzati dal pensiero magico e dall’ossessione moralistica (“gli anticoncezionali di barriera e il tempestivo impiego dei presidi medici possono prevenire o ridurre i danni sulla fertilità femminile ma non sono sufficienti senza un comportamento sessuale consapevole e responsabile” – il corsivo è mio).
D’altra parte avremmo dovuto capirlo che la pma non va tanto bene. “La medicina con la pma può aiutare la fertilità naturale ma non sostituirla”. Chissà se avrebbero scritto la stessa cosa parlando di deambulazione e di tecniche per rimediare alla diminuzione della capacità di camminare da soli.
Un diritto privo di mezzi per applicarlo rimane sospeso in un limbo in cui chi è privilegiato può provare a realizzarlo, chi invece ha meno mezzi è condannato a cercare soluzioni al ribasso o a rinunciare. La fine di un divieto non basta, così come non bastano le promesse e le giornate di celebrazione della genitorialità e della famiglia.