Lidia, il cielo cade (Edizioni Postcart) è un piccolo libro, semplice, dalla fattura molto accurata, stampato in sole seicento copie da un editore coraggioso ed esigente. Ma è soprattutto l’espressione di un momento di emozione, di verità, di pudore e di precisione.
L’autore è Maurizio Cogliandro, giovane fotografo italiano che, nell’arco di cinque anni, ha accompagnato la madre lungo il percorso doloroso di una malattia, un cancro, fino alla morte, nel febbraio 2005.
Cogliandro, senza mettere in mostra quasi niente, o comunque molto poco, riesce a dire tutto.
Racconta la dignità di una donna che mette la parrucca per nascondere la calvizie causata dalla chemioterapia, ma anche il rapporto apparentemente molto calmo che si crea tra madre e figlio.
Nella profondità del bianco e nero, le luci vibrano. I corpi sono presenti ma non s’impongono mai. In nessun momento ci sentiamo trasformati in morbosi voyeur. Non c’è nessun cedimento alla compassione. Solo la sensazione del tempo, che non sappiamo se si è fermato, ma sappiamo fin dall’inizio che si fermerà.
Senza fare rumore, si sfogliano le pagine seguendo una storia senza parole, senza nessun orpello visuale, con un ritmo scandito da pagine bianche e sequenze di immagini raccolte tre a tre. E quando è finito, il libro ci lascia con un sentimento raramente provato prima.
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