Claudia Andujar è la gran dama della fotografia in Brasile. Ha quasi ottant’anni e ha consacrato la sua vita, e quindi la sua opera fotografica, sempre documentaria, alla conoscenza e alla protezione degli indigeni yanomami.
Da poco ha pubblicato un piccolo libro, Marcados, in cui i ritratti degli indigeni sono accompagnati dalla documentazione del viaggio che Andujar intraprese nel 1980, insieme a due amici medici, per avviare una campagna di vaccinazioni, fondamentali per salvare la popolazione yanomami. Un intervento destinato a contaminare la cultura degli indigeni, ma comunque necessario.
Tutti gli indigeni vaccinati sono stati fotografati con dei numeri attaccati a una placca appesa al collo. Le immagini evocano ben più sinistri sistemi di numerazione, come quelli usati nei campi di concentramento dei nazisti o di Pol Pot, anche se in questo caso i numeri servivano a salvare e non a sterminare.
Claudia mette in relazione questa situazione con un momento del 1944 quando una piccola ebrea ungherese di 13 anni, cioè lei stessa, s’innamorò di Gyuri, che aveva 15 anni e una stella gialla attaccata al vestito. Riuscirono a scambiarsi un unico casto bacio. Poi Gyuri fu inghiottito dal campo di Auschwitz.
Andujar conclude chiedendosi se il suo lavoro sugli indigeni “marchiati” non sia alla fine un’opera concettuale. Per me la risposta è scontata.
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