L’immane catastrofe che ha devastato il Giappone crea una strana situazione, dal punto di vista visuale. Inizialmente l’immensa onda dello tsunami ha marchiato in modo definitivo le nostre retine e il nostro spirito. Le immagini del caos dopo il terremoto sono tanto spettacolari quanto desolanti. Ma c’è il resto, tutto il resto, che si vede poco o non si vede affatto.

Della minaccia nucleare non vediamo niente, o quasi. Vapori, strutture danneggiate, persone che portano le stesse maschere (probabilmente inutili) che porterebbero in caso di un’epidemia, vera o annunciata. La radioattività non si vede. Si misura. Si farà vedere semmai più tardi, quando cominceranno a comparire vegetali, animali o esseri umani mostruosi, deformi, abnormi. Le conseguenze, insomma. E allora si fanno largo disegni, grafici e tabelle che dovrebbero spiegare cosa succede quando la presunta sicurezza delle centrali atomiche viene messa a dura prova dalla violenza della natura.

Via via che la minaccia nucleare cresce si parla sempre meno di morti e dispersi. Si potrebbe pensare che alcuni di loro resteranno inghiottiti dalle macerie e che altri sono stati trascinati in mare dai flutti che si ritiravano. Ma in ogni caso ci sono tanti morti e pochissimi cadaveri. Ci si attacca allora a qualche sopravvissuto, miracolato, con addosso una mantellina argentata ricevuta dai soccorritori.

Internazionale, numero 890, 25 marzo 2011

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