I musei, le gallerie d’arte e le altre istituzioni artistiche annunciano le loro iniziative e i loro programmi con un anticipo sempre maggiore. È logico: una delle cose che funziona meglio sono le coproduzioni di mostre la cui organizzazione richiede spesso anni di lavoro e che poi rimangono in giro per molto tempo. È uno dei tanti effetti della crisi economica, che ha portato molti paesi a ridurre la spesa per gli eventi culturali (un discorso che non vale per la Cina e per gli Stati Uniti, che invece hanno aumentato notevolmente la spesa per la cultura). Una tendenza desolante, i cui effetti si faranno sentire soprattutto in futuro.

Un altro effetto della crisi è la generale diminuzione del numero delle mostre, che costano sempre di più. È naturale che ci si lamenti, anche se, guardando con attenzione a queste trasformazioni, potremmo scoprire delle opportunità. La riduzione del numero degli eventi potrebbe tradursi in un innalzamento della loro qualità: meglio poche mostre di qualità che tanti eventi mediocri.

Meglio mettere da parte i grandi nomi, troppo costosi, e concentrarsi su ricerca e sperimentazione. Purtroppo però non è sempre così, soprattutto se si continua a parlare di “consumo” culturale e se si guarda sempre di più al successo commerciale delle mostre. Ma visto che siamo all’inizio dell’anno, forse possiamo permetterci un po’ di ottimismo.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it