Le immagini a cui abbiamo accesso grazie alla rete sono miliardi. Non è strano che ci si chieda se sia ancora il caso di produrne di nuove. Ci sono talmente tante immagini che il mondo può essere sostituito dalla sua rappresentazione. In ogni caso siamo obbligati a classificarle e organizzarle per capirci qualcosa. Siamo entrati in un’epoca, l’era delle immagini, in cui chi le sceglie è altrettanto importante, se non più, di chi le produce. L’era del re photo editor.

Joan Fontcuberta aveva inaugurato quest’epoca selezionando, con il senso dell’umorismo che tutti gli riconosciamo, gli autoritratti postati su Facebook e quindi accessibili a tutti. Oggi rendiamo omaggio al canadese

Jon Rafman che deve avere male agli occhi a forza di cercare scene sconvolgenti su Google Street View. Scene che pongono più di un problema. Si rimane allibiti di fronte alle scene assurde raccolte nel libro che ha appena pubblicato per le edizioni Jean Boîte. Arresti, fughe, prostitute, bambini che scalano improbabili ostacoli, scene di strada di ogni genere. All’inizio si ride, ma poi con il tempo si diventa sempre più inquieti.

È evidente che all’occhio multiplo di Google Street View non sfugge nulla. Nessuna intimità è davvero protetta. Il mondo diventa trasparente. Può sembrare una nuova forma di reportage, ma è anche voyeurismo e possibilità di controllo, su ogni cosa.

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