Dieci errori che i giornalisti devono evitare quando parlano di persone lgbt. Uno al giorno, per dieci giorni.

  1. Coming out

  2. Immagini

  3. Lesbiche

  4. Mamma

  5. Mondo gay

  6. Relazioni

  7. Transessualità

  8. Famiglie gay

  9. Icona gay

  10. Parole

Guardate questa foto.

Queste due tipe sono uno schianto, no? E poi la foto è bella: vestiti brillanti, un tripudio di piume, paillettes colorate e perfino un cielo terso e azzurro che per Praga, la città in cui è stata scattata, è un vero evento. Insomma, un’immagine perfetta per illustrare un articolo su un gay pride o sull’impennata dei prezzi delle piume di struzzo o sull’ondata di caldo che ha colpito la Repubblica Ceca. Una foto che andrebbe bene per molti articoli, tranne per quello sotto cui l’ho trovata: un articolo sull’adozione per le coppie omosessuali.

In questo caso, devo ammetterlo, il colpevole non era un giornale italiano ma svizzero, anche se mi diverte molto notare che questi scivoloni li prende più spesso la stampa della Svizzera italiana piuttosto che quella francese e tedesca. Come a dire, il lupo perde la cittadinanza ma non il vizio.

L’articolo era serio e dettagliato, e spiegava una nuova legge svizzera: ora all’interno delle unioni civili gay o lesbiche ogni partner può adottare i figli dell’altro. Era una buona notizia, trattata con elvetica sobrietà e senso civico, solo che alla fine ecco la foto di due transessuali al gay pride di Praga. Con tanto di didascalia: “Due drag queen al gay pride di Praga”.

Ma, scusate, che c’entra il pride di Praga con le famiglie omogenitoriali in Svizzera? Il bello è che è bastata un’email di una riga per far cambiare istantaneamente la foto e farla sostituire con una serissimo sit-in di fronte al parlamento di Berna. Perché è così: spesso basta sottolineare qualche automatismo per far capire al giornalista che ha fatto una cosa quanto meno buffa.

Quella delle foto delle transessuali è una vecchia storia: per anni i gay pride sono stati l’unica occasione di visibilità delle persone lgbt (lesbiche, gay, bisessuali e transgender) in Italia ed è ovvio che i giornalisti si affollassero intorno alle creature più luccicanti e svestite. Ma i tempi sono cambiati, la visibilità è aumentata e oggi l’ex premier dell’Islanda o il sindaco di Parigi sono degli omosessuali, e non possiamo continuare a illustrare l’omosessualità solo con paillettes e lustrini.

In Italia un esempio più recente della rappresentazione distorta degli omosessuali arriva dall’Espresso di qualche settimana fa. Giornale tradizionalmente progressista, spesso sostenitore dei diritti gay, l’Espresso ha dedicato la sua copertina all’omofobia in Italia, con un articolo assolutamente valido. Peccato che le foto a corredo del pezzo fossero queste qui.

Come al solito la cosa più esilarante sono le didascalie, perché riescono nell’impresa di rendere il ridicolo ancora più ridicolo, mettendolo ingenuamente nero su bianco: “Ragazzi si abbracciano nella dark room”.

Per i meno informati, una dark room è una stanza buia all’interno di una discoteca in cui si può fare un po’ quello che vuoi con il primo che capita. Quindi non è proprio il primo posto che ti viene in mente quando pensi all’emergenza omofobia. E va notata l’amara ironia di quel titolo in grassetto poco più in basso: “Incubo tra i banchi”.

Ma l’immagine che lascia davvero a bocca aperta è quella che accompagna la drammatica tabella intitolata “Dove si discrimina”, che riporta tutte le percentuali di discriminazione a scuola, a casa, al lavoro eccetera. Giustamente l’immagine è quella di un uomo che infila la mano nei pantaloni di un altro.

Non credo che si tratti di malafede, ma solo di un misto di inguaribile voyeurismo dei mezzi d’informazione italiani (che non rinunciano mai a far vedere un pezzetto di pelle in più) e un vero e proprio vizietto sulla scelta delle immagini, un tic che alcuni photo editor continuano a passarsi l’un l’altro, senza mai fermarsi a ragionare meglio su quello che fanno.

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