Mentre studio per la maturità e organizzo la mia vita universitaria in una grande città, sono triste all’idea che questa non sarà più casa mia. Mi passerà?–Diana

I miei genitori devono essere convinti che io sia un pessimo padre. Ogni volta che arrivo dalla Danimarca, faccio appena in tempo a scaricare figli e bagagli all’ingresso di casa loro che mi ritrovo a sfrecciare per le strade di Roma sulla mia vecchia Vespa.

A Copenaghen mio marito e io siamo genitori senza tregua: non possiamo contare su nonni, zii e parenti che ci regalino qualche ora solo per noi due, così quando siamo in Italia abbandoniamo completamente i panni dei genitori e lasciamo fare tutto ai nonni. Ma proprio tutto: capita spesso che io, spaparanzato sul divano, segua con la coda dell’occhio la scena di mia madre che prepara da mangiare o fa il bagno ai miei figli, e mi limiti a intervenire con qualche improbabile “bambini, obbedite alla nonna”, senza neanche staccare gli occhi dal computer. Come fossi un lontano zio o roba del genere.

Cedere ai miei il mio ruolo genitoriale, anche se solo per qualche giorno, è un lusso che posso permettermi perché questa è ancora casa mia. Spaparanzato su quel divano rientro in modalità figlio sedicenne scansafatiche, e visto che abito all’estero i miei me lo consentono amabilmente. Non importa quanto si è lontani: se ami la tua famiglia, la casa in cui sei cresciuto sarà sempre casa tua, il posto dove sentirti al sicuro, trovare un pasto caldo, tornare sedicenne o dove trasformarti in pessimo genitore. Tanto ci sono i nonni.

Questo articolo è stato pubblicato il 19 giugno 2015 a pagina 12 di Internazionale, con il titolo “Tutti a casa”. Compra questo numero | Abbonati

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