Ho sempre avuto una passione per i nomi che vengono dati a generi musicali di nicchia. Definizioni talmente tassonomiche e maniacali da far riferimento spesso a una sola canzone di una band che forse non è neanche mai esistita. Fino alla settimana scorsa il mio genere preferito era il “dronabilly” (crasi tra drone e rockabilly), letto una sola volta in riferimento ai romani Heroin in Tahiti che non solo esistono e fanno musica memorabile, ma hanno il nome di band più bello dai tempi degli ormai defunti I love you but I have chosen darkness.

Da oggi però il mio nome di genere musicale preferito è “ambient doom jazz”, un ibrido tra la porosità della ambient music, il fascino noir di certe ballad con sax e marimbas e la minacciosa solennità del doom metal. Quando ho scoperto Patchouli blue dei tedeschi Bohren & Der Club of Gore me ne sono innamorato e, nonostante il sole di maggio, mi sono immerso con morboso piacere nelle tenebre di una notte senza fine. Immaginate un thriller in cui sembra sempre che stia per succedere qualcosa ma poi alla fine non succede nulla. O un horror in cui la carneficina è sempre dietro l’angolo ma non muore mai nessuno. Un Dario Argento senza sangue o un Twin Peaks fatto solo di scenografie deserte senza gli attori. Patchouli blue è musica per ascensori lentissimi che non smettono mai di scendere, musica per un night club frequentato da assassini solitari ingarbugliati nelle loro ossessioni.

A che punto è la notte, si chiedeva il titolo di uno dei gialli più belli di Fruttero e Lucentini. A sentire Bohren & Der Club of Gore l’alba è ancora molto, molto lontana.

Bohren & Der Club of Gore
Patchouli blue
PIAS, 2020

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