Le illuminazioni di Buffy Sainte-Marie
Nel 1969 la cantautrice nativa americana Buffy Sainte-Marie era già famosa come promettente e originale cantante folk. Era nata nel 1941 in una riserva indiana nel Canada occidentale. Come spesso accadeva ai bambini che venivano dalle riserve fu data in adozione a una coppia del Massachusetts che la mantenne agli studi permettendole di laurearsi all’Università di Amherst in filosofie orientali.
Nel 1964 esce il suo album di debutto, It’s my way!, un lavoro coraggiosamente autobiografico con canzoni come The incest song e Cod’ine, dedicata alla sua dipendenza da codeina, forse la prima canzone a descrivere una crisi di astinenza. Cod’ine viene ricantata dal cantautore scozzese Donovan e pochi anni più tardi anche da Janis Joplin, con alcune parole cambiate. Nel 2010 entra anche nel repertorio di Courtney Love.
Buffy Sainte-Marie però si sente intrappolata da quest’immagine da “Pocahontas con la chitarra acustica” (sono parole sue), un’immagine esotica ma rassicurante. “Negli anni sessanta volevano che mi vestissi come Pocahontas”, ricorda l’artista settantenne in un’intervista a Vogue del 2018, “ma nessuno chiedeva a Judy Collins di vestirsi da pellegrina appena sbarcata dalla Mayflower. Nessuno si aspettava che Joan Baez portasse su un sombrero”.
Sainte-Marie, pur identificandosi con la sua origine nativo americana e combattendo apertamente per i diritti della sua gente (tanto da finire in una lista nera dell’amministrazione di Lyndon Johnson), non vuole essere intrappolata in uno stereotipo. Soprattutto non vuole cedere alle lusinghe dei discografici che tendono a venderla come l’ennesima “ragazza con la chitarra”.
Per questo nel 1969 decide di ripensare completamente la sua musica e produce uno degli album più rivoluzionari e ingiustamente dimenticati dei tardi anni sessanta: Illuminations. Insieme al produttore Maynard Solomon inventa un suono mai sentito prima: una sorta di incrocio tra canzone folk e la sperimentazione elettronica di uno dei pionieri dei sintetizzatori analogici, Michael Czajkowski. Basta mettere su il primo pezzo, God is alive, magic is afoot, per rimanere colpiti, ancora oggi, dalla sua originalità. L’album parte con un suono alieno che diventa via via sempre più comprensibile: è la voce di Sainte-Marie che, alterata da un sintetizzatore Buchla, sembra comporsi come da un puzzle confuso per cominciare a declamare i versi di una poesia di Leonard Cohen. Diventano una canzone ispirata e sciamanica che sul finale torna a scomporsi in quel magma da cui veniva.
Nel 1968 era uscito Switched-on Bach della compositrice elettronica Wendy Carlos (allora Walter Carlos) che aveva riletto alcune pagine orchestrali di Johann Sebastian Bach con un sintetizzatore modulare Moog. È stato il primo album di musica classica a vendere più di 500mila copie e aveva mostrato al mondo quante cose si potessero fare con questi nuovi, allora complicatissimi, strumenti. E quando usciva Illuminations Miles Davis stava lavorando a Bitches brew, uno dei primi album jazz ad aver intuito che lo studio di registrazione e la sua tecnologia potevano essere usati come uno strumento musicale. Miles ci stava arrivando ma Buffy era già lì, in questo incrocio tra tradizione, esoterismo e nuove tecnologie.
Illuminations non era un album folk e non era un album rock, nel 1969 era impossibile da catalogare e rimane difficile da catalogare anche oggi. In un’intervista del 2020 Sainte-Marie ricorda che la sua principale ispirazione per Illuminations erano i codici miniati medievali (“illuminated manuscripts” in inglese): “Se studiamo queste meravigliose opere d’arte, vediamo un mondo molto variegato di angeli, demoni, miracoli, crudeltà, martirio, meraviglie e gloria. Dentro c’è tutto ma hanno una loro gestalt, come dei piccoli mondi presi nel loro insieme”.
Ma Illuminations significa anche illuminazioni e ogni canzone di questo album è un’apparizione, un’epifania. Mary comincia con il suono di un organo e la voce di Maria che, vedendo in cielo la stella, capisce che il Messia che porta in grembo sta nascendo: “Giuseppe, il mio momento è arrivato”, canta con voce allo stesso tempo estatica e dolorante. In The vampire l’ambientazione diventa gotica: la protagonista della ballata incontra un uomo nei cui occhi non riesce a specchiarsi: “Oh mio piccolo Rosario”, canta mentre si perde in quegli occhi di ghiaccio, “quanto mi manchi adesso, non ti ho mai usato come si deve e mai lo farò”.
L’album si chiude con Poppies, che comincia come una ballata in cui la protagonista, una sorta di creatura dei ghiacci, s’insinua nei sogni di una persona “addormentata nell’estate”. Qui la voce di soprano di Buffy Sainte-Marie si fonde completamente con il suono del sintetizzatore in uno straordinario gioco di echi e riverberi. Poi, come un incantesimo lontano, tornano le parole di Leonard Cohen che aprivano l’album: “God is alive and magic is afoot”, dio è vivo e la magia è cominciata.
Illuminations, quando uscì, non venne capito e fu un insuccesso che rallentò la carriera promettente della “Pocahontas con la chitarra” Buffy Sainte-Marie. Eppure oggi è un classico riscoperto: è difficile immaginare To bring you my love di Pj Harvey o The dreaming di Kate Bush senza questo precedente che mescolava folk, elettronica, psichedelia e fiammeggianti visioni tra il biblico e il gotico.
Buffy Sainte-Marie
Illuminations
Vanguard, 1969