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Per l’Africa non è il momento di restare neutrale sull’Ucraina

Durban, Sudafrica, 6 marzo 2022. Una manifestazione contro l’invasione russa dell’Ucraina. (Rajesh Jantilal, Afp)

Molti governi africani hanno chiuso un occhio sulla campagna di Vladimir Putin per ridisegnare la mappa dell’Europa con il sangue. È vero che 28 paesi africani hanno votato all’Onu una risoluzione di condanna dell’invasione. Tuttavia, su 54 paesi nel continente 17 si sono astenuti e otto erano troppo impegnati per votare.

L’esitazione nel condannare la Russia da parte di alcuni paesi – tra cui il Senegal, una nazione solitamente allineato con l’occidente e che ha la presidenza di turno dell’Unione africana – deve molto alla tradizione continentale del non allineamento. Tuttavia non allineamento e neutralità non sono la stessa cosa. Se uno psicopatico sta colpendo a morte un civile con la baionetta, la neutralità non implica spingere i due a discutere sulle loro differenze.

Guardare alla guerra in Ucraina come a uno scontro astratto tra Mosca e la Nato significa negare che gli ucraini abbiano il diritto di decidere che tipo di paese vogliono costruire. Molte persone in Africa sono giustamente preoccupate dell’impatto che le sanzioni occidentali contro la Russia potrebbero avere sulle loro fragili economie, in particolare sui rifornimenti di cibo. Una guerra tra due dei principali produttori al mondo di grano farà aumentare il prezzo di alimenti di base come il pane, situazione che spesso innesca il genere di rivolte sociali che dieci anni fa hanno sconvolto il mondo arabo o che nel 2019 hanno contribuito a rovesciare il dittatore sudanese Omar al Bashir. Tuttavia l’astensione di molti paesi africani – tra cui l’Angola, la Repubblica Centrafricana, il Mali, il Mozambico, il Sudafrica, il Sudan e lo Zimbabwe – è anche segno della strisciante influenza russa che si mescola a una mal riposta nostalgia per l’Unione Sovietica.

Nell’ultimo decennio la Russia ha incrementato gli sforzi per accrescere la sua influenza, vendere armi, estrarre minerali e in generale complicare la vita dell’occidente nel continente.

Gli africani sostengono a maggioranza schiacciante i princìpi della democrazia anche quando i loro leader sono riluttanti a garantirla

La crescente influenza di Mosca è stata evidente nell’ottobre del 2019, quando 43 capi di stato africani hanno partecipato al primo vertice Russia-Africa a Soči, una partecipazione che non avrebbe sfigurato davanti al forum triennale sulla cooperazione Cina-Africa. In un opportuno rapporto sulla Russia in Africa del Tony Blair institute for global change il nuovo interesse di Putin è spiegato in termini puramente transazionali: rinfocolare i legami di epoca sovietica per estrarre risorse (e voti all’Onu) in cambio di assistenza su questioni di sicurezza.
Un’altra ipotesi, più sinistra, è che Putin consideri l’Africa una cosiddetta “seconda frontiera” per circondare l’Europa “alimentando instabilità, disturbando le elezioni, esportando armi e innescando i flussi migratori” attraverso il Sahel e la Libia. Gli africani non accoglieranno di buon grado un’analisi che vede nel continente un teatro della cosiddetta rivalità delle grandi potenze. Questo però non significa che non stia succedendo proprio questo.

In Mali, paese in cui il gruppo russo mercenario Wagner, che si comporta come un delegato del Cremlino, ha un migliaio di uomini, la Russia mostra evidenti segnali di voler porre fine all’influenza europea. A gennaio il governo militare di Bamako ha espulso l’ambasciatore francese. Adesso la Francia e i suoi alleati europei stanno conducendo le loro operazioni di controterrorismo nel Sahel partendo dal vicino Niger. Il gruppo Wagner potrebbe anche aver addestrato il Fronte per il cambiamento e la concordia in Ciad che, secondo il rapporto del Blair institute, sarebbe responsabile dell’assassinio del leader del paese e fedele alleato della Francia Idriss Déby.

Ha combattuto contro i ribelli nella Repubblica Centrafricana, un’altra ex colonia francese. In tutta l’Africa la Russia ha addestrato guardie del corpo presidenziali e consigliato i governi nelle arti oscure della sorveglianza dei loro popoli e dei brogli elettorali. Almeno il 40 per cento di tutte le armi importate dai governi africani ha origini russe. Negli stati dell’Africa australe l’ambivalenza sulla guerra in Ucraina ha una motivazione in più: un trasferimento di gratitudine dall’Unione Sovietica, che ha sostenuto i movimenti di liberazione nazionale, alla Russia di Putin.

Jacob Zuma, l’ex presidente sudafricano caduto in disgrazia, ha definito Putin un “uomo di pace”. Persino l’attuale presidente Cyril Ramaphosa ha mostrato un subdolo ossequio con il suo tweet: “Grazie a sua eccellenza il presidente Vladimir Putin per avermi risposto al telefono oggi così ho potuto comprendere meglio come si sta evolvendo la situazione tra Russia e Ucraina”.

Alcuni sosterranno che una guerra in Europa non sia poi così importante per gli africani. Altri punteranno il dito contro la rapace storia coloniale dell’occidente, le sue frequenti ipocrisie e le disastrose invasioni dell’Iraq e della Libia. Ma questo non è il momento di essere neutrali. Afrobarometer e altri istituti demoscopici dimostrano che gli africani sostengono a maggioranza schiacciante i princìpi della democrazia anche quando i loro leader sono riluttanti a garantirla. Le democrazie più solide, per quanto imperfette, dell’Africa, come Ghana, Kenya, Mauritius, Niger, Nigeria e Zambia, si sono schierate contro la Russia. È plausibile che l’offensiva invisibile di Mosca in Africa porti dei vantaggi ad alcuni dei leader più autocratici del continente. Di sicuro non aiuterà i suoi cittadini.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

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