Sono Vergine è una ventata d’aria fresca
Sono Vergine, serie di sette episodi disponibile su Amazon Prime Video, è l’attesa opera seconda di Boots Riley dopo il successo a sorpresa di Sorry to bother you (2018). La serie parla di un adolescente nero alto quattro metri di nome Cootie (Jharrel Jerome), cresciuto e tenuto nascosto per anni dalla zia Lafrancine (Carmen Ejogo) e dallo zio Martisse (Mike Epps). Poi, però, Cootie diventa letteralmente troppo grande per vivere nella casa della sua infanzia e si avventura nel suo quartiere di Oakland, dove scopre quanto sia folle il mondo.
Quando Cootie era bambino, gli zii lo avevano convinto che dovesse stare in casa perché le persone erano terrorizzate dai giganti, e gli avevano dato un album pieno di ritagli di giornale che raccontavano di persone affette da “gigantismo” (l’eccessiva produzione ghiandolare dell’ormone della crescita) uccise in modi estremamente crudeli prima che i loro organi venissero prelevati per essere mostrati in pubblico. È una versione surreale del “discorsetto” che i genitori neri sono costretti a fare ai loro figli per convincerli a usare la massima prudenza lontano da casa.
O forse non è affatto surreale. Nell’autobiografia di Sammy Davis Jr pubblicata nel 1965, Yes I can, il cantante raccontava che per molto tempo, durante la sua infanzia, la sua famiglia (che lavorava nello spettacolo) lo aveva convinto che l’ostilità che subivano durante i viaggi nelle città a maggioranza bianca era dovuta al fatto che da quelle parti “odiavano gli uomini di spettacolo”. Quando finalmente Davis Jr scoprì il vero motivo di quell’odio, per lui fu un trauma.
Quando Cootie diventa abbastanza grande da ribellarsi alla reclusione nella casa di famiglia, la zia finalmente collega le storie sui “giganti” ai problemi razziali, spiegandogli che “la gente ha sempre avuto paura, e tu sei un nero alto quattro metri”.
Nella serie ci sono scene notturne sorprendentemente oniriche in cui Cootie, finalmente libero, siede sul sedile posteriore della decappottabile dei suoi amici e va in giro per le affascinanti strade festanti e illuminate dal neon di Oakland, come se fosse un titano proveniente da un altro mondo.
“Alcune persone cercheranno sempre il modo di sfruttarti”, lo avverte zio Martisse quando Cootie diventa una sorta di eroe locale chiamato Twamp Monster. “E poi si sbarazzeranno di te”.
Non bisogna essere un profeta per immaginare il seguito. Cootie viene presto avvicinato da un agente bianco e poco affidabile, una specie di Guy Smiley col vestito elegante che cerca di fargli intraprendere una carriera sportiva.
Quando tutte le autorità sportive vietano a Cootie di partecipare, è il turno della moda, con l’ingenuo Cootie utilizzato come gigantesco manichino pubblicitario con indosso grotteschi vestiti di taglie enormi, costretto ad assumere pose umilianti senza capirle e a contorcere il proprio viso in espressioni bizzarre (di cui una somiglia alla spassosa “blue steel” del film Zoolander).
Cootie non si accorge dei pericoli che lo circondano. Dopo aver imparato quello che sa soltanto dai mezzi di comunicazione a cui è stato indiscriminatamente esposto nel corso degli anni, vive seguendo modi di dire e concetti presi da videogiochi, pubblicità e libri. Nel suo modo infantile, recita come un motto la frase “Da quel giorno ho capito che niente mi avrebbe impedito di raggiungere la grandezza”, insieme alla banalità astrologica “Sono del segno della Vergine, e quelli del segno della Vergine amano l’avventura”.
Il fatto che l’immersione nella cultura pop provochi l’assimilazione di una pericolosa ideologia è sottolineato continuamente nel corso della serie. Cootie, appassionato di fumetti, vede se stesso nel ruolo di un potenziale eroe, il salvatore di una società nei guai. Anche perché è capace di sollevare un’automobile. “Ho cominciato a pensare che forse le mie dimensioni sono un segnale, un invito a fare qualcosa di importante”, dichiara solennemente.
La sua amica Jones (Kara Young), un’attivista socialista che vorrebbe organizzare uno sciopero generale, spiega a Cootie che l’obiettivo dev’essere la mobilitazione delle masse in un movimento in cui le persone prendano il potere anziché farselo consegnare da una figura eroica, men che meno da un paladino con il mantello e i super poteri.
Un cattivo convincente
Affidando il ruolo del cattivo a un personaggio che si definisce “l’Eroe”, Riley mette l’accento sull’ubiquità soffocante dei film, delle serie, dei videogiochi e dei prodotti commerciali ispirati ai fumetti. Interpretato dal sempre impeccabile Walton Goggins, il miliardario della tecnologia dai capelli lunghi (il cui nome è Jake Whittle) mostra un narcisismo terminale, uno stile di vita opulento, una tendenza ai piani deliranti per il mondo, un amore di stampo conservatore per l’ordine pubblico e una propensione a ipotetici cambiamenti rivoluzionari: una combinazione che conosciamo fin troppo bene e ritroviamo nelle versioni reali dei megalomani della nostra era.
Jones cerca ripetutamente di convincere Cootie a partecipare al suo movimento politico, ma il ragazzo le confessa di aver sentito qualcosa di allarmante in merito alle conseguenze delle proteste politiche, con persone “finite sulle liste dell’Fbi”. “Tutti sono sulla lista dell’Fbi, quindi tanto vale entrarci per un buon motivo”, gli risponde Jones.
Cootie è anche dominato da ossessioni adolescenziali, come il desiderio di fare soldi per comprare i Bingbang Burgers che per così tanto tempo gli sono stati negati, anche dopo averli provati e aver scoperto che in realtà sono disgustosi. Cootie continua comprarli perché è innamorato di una delle cassiere, Flora (Olivia Washington), che a sua volta è dotata di un superpotere semi-nascosto: una velocità ultraterrena che ha imparato a controllare per interagire con le persone normali e lente.
Mentre un numero sempre maggiore di personaggi cerca di trovare il modo di sfruttare Cootie, il ragazzo si lascia coinvolgere, controvoglia, nell’impegno politico. Gli affitti sono alle stelle e i suoi vicini vengono cacciati di casa, così Jones convince Cootie a mostrare cartelli con la scritta “SCIOPERO DEGLI AFFITTI A FRUITVALE” e a ricoprire un intero muro di manifesti grazie alle sue mastodontiche braccia. In un episodio sconvolgente, l’esuberante amico Scat (Allius Barnes) muore dopo che gli vengono rifiutate le cure al pronto soccorso locale perché non ha l’assicurazione sanitaria.
Come già in Sorry to bother you, i vari effetti fantastici di Sono Vergine, che dimostrano nuovamente la preferenza di Riley per gli effetti pratici a scapito di quelli digitali, sono incredibilmente fantasiosi. In una scena Jones narra una sequenza animata lunga ed elaborata sulla “crisi del capitalismo” per spiegare quello che sta accadendo agli abitanti di Oakland, degli Stati Uniti e del mondo intero.
Un altro esempio è il programma preferito di Cat, una serie animata in stile Adult sim chiamata Parking tickets. È una serie convincente e completa creata da Riley insieme alla talentuosa squadra di Ri Crawford e David Lauer, co-fondatori di Mistery Meat Media e già coinvolti in Sorry to bother you. Tra le personalità che hanno prestato la propria voce ci sono Danny Glover, Slavoj Žižek e Joel Edgerton, mentre Juliette Lewis si limita a ripetere l’esclamazione nonsense “Boyoyoyoyoing!”. La serie viene interpretata dagli amici di Cootie come una commedia nonostante la trama cupa e i contenuti filosofici che confondono Cootie, incapace di ridere a comando insieme agli altri.
In sintesi, all’interno di Sono Vergine ho trovato un lavoro ambizioso e sofisticato, tanto che quasi mi vergogno di non amarlo al cento per cento. Il ritmo lento mi ha fatto rimpiangere Sorry to bother you. Parte di ciò che rendeva il film travolgente era la sua forza compressa, il modo in cui la trama surreale sgorgasse con grande rapidità da una premessa realistica come le difficoltà economiche della gente comune e l’assurdo fosse associato senza sforzi al capitalismo, mostrando l’insensatezza del voler lottare per ottenere il successo professionale in un sistema folle. Sorry to bother you aveva una schiacciante logica emotiva che rendeva superflue le spiegazioni.
Ma al contempo vedere una serie come Sono Vergine, che sfida continuamente le aspettative, è talmente entusiasmante che non intendo in alcun modo interrompere la visione. L’approccio politico della serie è una rarità nella tv mainstream di oggi. In Sono Vergine, in più, la natura politica ha dato sfogo all’immaginazione dei creatori, spingendoli a produrre qualcosa di estremamente diverso dalle serie che abbiamo già visto e rivisto in migliaia di versioni.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
Questo articolo è stato pubblicato dalla rivista Jacobin.