Dieci anni fa aveva dichiarato che [“Mussolini non ha mai ammazzato nessuno”][1]. Il 27 gennaio, durante il giorno della memoria, Silvio Berlusconi ha di nuovo suscitato scalpore, dicendo testualmente: “Il fatto delle leggi razziali è stata la peggiore colpa di un leader, Mussolini, che per tanti altri versi invece aveva fatto bene”. Subito dopo sono arrivate le legittime reazioni di sdegno e di condanna di una larga parte della classe politica, e Silvio Berlusconi ha cercato di correggere parzialmente il tiro.

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Però è difficile non vedere dietro queste affermazioni sulle “cose buone” fatte dal regime del duce un forte sapore elettorale. A meno di un mese del voto, il Cavaliere cerca con tutti i mezzi di occupare la scena politica e mediatica usando l’arma che gli è più congeniale: il

politically incorrect. Dalle gaffe su Obama abbronzato alle corna al vertice europeo in Spagna, Silvio Berlusconi ha sempre cercato di rompere le regole della politica tradizionale e di coltivare l’immagine del leader atipico, fuori dal piccolo mondo delle élite.

Nello sprint finale per il voto del 24 e 25 febbraio, il leader del Pdl sta cercando in questo modo di mobilitare di nuovo il suo elettorato, occupando le prime pagine dei giornali. Soprattutto adesso che l’evento Santoro sembra avere fatto il suo massimo effetto. Nella trasmissione Servizio pubblico, Berlusconi è riuscito ancora una volta a rovesciare il tavolo.

Dopo il secondo brillante intervento di Marco Travaglio, durante il quale il giornalista del Fatto l’ha attaccato “da destra”, rimproverandogli di non aver fatto una vera politica liberale e liberista, l’ex presidente del Consiglio ha creato l’effetto sorpresa. Ed è diventato a sua volta accusatore, con la scena della lettera e della spettacolare pulizia della sedia di Travaglio.

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Prima dello scrutinio finale, Silvio Berlusconi cercherà quindi di moltiplicare le dichiarazioni, gli effetti e i gesti provocatori. Domenica ha scelto di fare clamore rievocando Mussolini. Un atteggiamento che, oltre alle condanne, richiede una riflessione e un’analisi. Perché un gesto di rottura e politically incorrect non può funzionare se non c’e un terreno fertile sotto.

Nei suoi comportamento atipici, Silvio Berlusconi ha sempre compiaciuto una base elettorale stanca dei partiti tradizionali e di un “palazzo” ingessato e inefficiente. Criticato ed emarginato dall’establishment italiano ed europeo, l’uomo di Arcore parlava invece direttamente ai suoi elettori e ai cittadini pronti a seguire un capo irriverente e, pure nei suoi eccessi, originale.

Il riferimento al regime fascista deve far pensare. Nella maggior parte dei paesi europei, l’elogio di un dittatore porterebbe immediatamente all’esclusione dalla competizione politica. Soprattutto se chi lo fa è un ex capo di governo. Invece Silvio Berlusconi può permettersi di evocare il duce senza suscitare un rigetto automatico. E può farlo per vari motivi.

Il primo è che in Italia non è mai stata fatta una vera analisi su cos’è stato il fascismo, sopratutto al sud, e sull’orrore della Repubblica di Salò. Nell’immaginario collettivo c’è ancora l’idea che, come dice Berlusconi, a parte le leggi razziali, il fascismo ha realizzato delle opere positive. Oltre alla famosa considerazione secondo la quale, al tempo di Mussolini, “i treni arrivavano in orario”.

Ma molti si dimenticano che, malgrado il consenso di cui ha beneficiato durante il ventennio, non può esistere fascismo senza la repressione delle opposizioni e delle minoranze. Che questa relazione intrinseca sia stata poco a poco omessa, significa che dal 1945 il paese ha chiuso la pagina nera del fascismo senza fare, come in Germania, una vera riflessione collettiva, preferendo un’illusoria narrazione di una nazione antifascista soffocata per tanti anni da una minoranza di camicie nere.

L’altro punto non riguarda solo l’Italia. La riabilitazione anche parziale del fascismo arriva in un momento di grave crisi della democrazia rappresentativa. Dappertutto in Europa, i cittadini sentono la crisi. E danno la colpa di questo declino a una classe politica considerata, non a torto, corrotta, autoreferenziale e inadempiente. Il richiamo a un potere forte che saprebbe governare senza intermediari, incluso il parlamento, serpeggia un po’ dappertutto nel Vecchio continente. Per questo Silvio Berlusconi incolpa i partiti dei suo ex alleati per il suo insuccesso.

Ma il malessere è più diffuso e profondo, soprattuto in questo periodo di crisi economica e sociale. Numerosi cittadini chiedono una svolta drastica, se non autoritaria. E al di là di ciò che pensa realmente del fascismo, Silvio Berlusconi vuole rispondere in qualche maniera a questa richiesta popolare. È una sfida che non riguarda solo i democratici italiani. Investe tutta l’Europa e impone di creare le condizioni politiche per far sì che i governanti ritrovino i mezzi e gli strumenti per cambiare la vita quotidiana dei cittadini.

C’è bisogno di una risposta politica, con un salto verso un’Europa federale e democratica. Un’Europa unita che è stata fondata per superare la guerra nel Vecchio continente, ma anche i totalitarismi fascisti e nazisti. In particolare su impulso di Altiero Spinelli, antifascista della prima ora che fu incarcerato già nel 1928. Ben dieci anni prima dell’approvazione delle leggi razziali.

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