Il presidente della Commissione europea José Manuel Durão Barroso a Roma, il 4 luglio 2014. (Remo Casili, Reuters/Contrasto)

È tutta la settimana che inseguo Barroso. Ogni giorno ce n’è stata una. Lunedì il presidente della Commissione europea era in Lussemburgo, chiamato a testimoniare in un caso ribattezzato, a seconda dei punti di vista, Dalligate o Barrosogate. Mercoledì era a Parigi, invitato all’Eliseo, dove il presidente François Hollande l’ha insignito della legione d’onore, anche se nessuno ha capito bene perché (in teoria l’onorificenza è conferita per i servizi resi alla Francia, non all’Europa, ma forse Hollande sa qualcosa che noi non sappiamo). Ieri Barroso ha reso noto che sarebbe disposto a prendere il posto di Herman Van Rompuy alla presidenza del Consiglio europeo, mentre oggi era in visita all’osservatorio astronomico di Haute-Provence.

**Barroso è il primo presidente **della Commissione a essere convocato davanti alla Corte di giustizia dell’Unione europea. Merito di John Dalli, l’ex commissario per la salute e i consumatori, che sostiene di essere stato costretto alle dimissioni il 16 ottobre 2012 sulla base di accuse infondate e senza aver avuto la possibilità di difendersi. All’epoca dei fatti Dalli stava seguendo la revisione della direttiva tabacco, che alcuni avrebbero voluto veder inasprita seguendo l’esempio dell’Australia (diventato il primo paese a imporre i pacchetti generici), altri ammorbidita per consentire alle compagnie del settore di fare affari più serenamente. Tra queste c’era l’azienda Swedish Match, irritata dal divieto di vendita dello snus (polvere di tabacco per uso orale) al di fuori della Svezia. E qui finisce la versione unanime dei fatti.

A sentire Barroso, Dalli avrebbe avuto dei contatti segreti e inappropriati con Swedish Match, “a molte migliaia di chilometri dalla Commissione”, ha precisato ai giudici, come se incontri segreti e inappropriati non potessero svolgersi in un comodo ufficio di Bruxelles. Dalli avrebbe anche saputo che un suo amico e connazionale, l’imprenditore maltese Silvio Zammit, aveva promesso all’azienda svedese una modifica della direttiva in cambio di una sostanziosa bustarella. Erano queste le conclusioni a cui era giunto l’Olaf, l’ufficio europeo per la lotta antifrode, al termine di un’indagine avviata su richiesta del gabinetto Barroso, a sua volta allertato da Swedish Match.

Chiusa con inconsueta celerità l’indagine, il 15 ottobre 2012 l’Olaf ha inviato il suo rapporto a Barroso, che nel frattempo, stranamente, aveva già convocato Dalli per il 16 ottobre, senza anticipargli il motivo dell’incontro. Il 16 Barroso ha mostrato a Dalli il rapporto dell’Olaf (senza farglielo leggere) e gli ha chiesto di rassegnare le dimissioni, aggiungendo che altrimenti sarebbe stato licenziato. Dalli ha riconosciuto di aver incontrato dei lobbisti, nessuno però al servizio di Swedish Match, e ha negato di essere stato al corrente degli intrighi di Zammit. Sotto pressione, ha accettato a voce di farsi da parte, poi, qualche giorno dopo, ha mandato una lettera di fuoco a Barroso, annunciando battaglia.

Da allora sono passati quasi due anni e qualche verità è uscita fuori. Swedish Match ha ammesso di aver mentito sui suoi incontri con Dalli. L’Olaf, che si è a lungo rifiutato di rendere pubblico il suo rapporto, è stato criticato dal suo stesso comitato di vigilanza per il lavoro svolto. E il Mediatore europeo ha chiesto al gabinetto Barroso di pubblicare alcuni documenti relativi alle dimissioni di Dalli, come richiesto dall’ong Corporate Europe Observatory. Dalli a Malta non è considerato uno stinco di santo, eppure in questa vicenda sembra quello che ha meno da nascondere.

Ma torniamo a Barroso, che alla Corte di giustizia si è presentato come il difensore dell’integrità della Commissione. Dalli doveva andarsene perché il suo non era stato “il comportamento appropriato per un commissario”. “Una cosa à la presunzione legale d’innocenza, un’altra sono le condizioni politiche”, ha spiegato ai giudici. “Politicamente, era diventato impossibile per Dalli rimanere commissario”.

Sarebbe interessante sapere se secondo Barroso era appropriato che alcuni alti funzionari della commissione, tra cui il suo braccio destro, il segretario generale Catherine Day, fossero in contatto con Swedish Match e ne difendessero gli interessi durante la fase di revisione della direttiva tabacco. O se è opportuno che un presidente della Commissione si ritrovi a cena all’Eliseo con Hollande, Angela Merkel e “sedici capitani d’industria”, come racconta il [Financial Times][14] (cena stranamente seguita dal ribaltamento di una decisione della Commissione, fin lì pronta a bocciare il progetto di fusione tra due multinazionali delle telecomunicazioni). O se non è un po’ sconveniente che la Commissione si faccia riprendere dal Mediatore europeo per i suoi rapporti poco trasparenti con i rappresentanti delle organizzazioni religiose.

Mercoledì prossimo i capi di stato e di governo europei si riuniranno a Bruxelles per discutere, tra le altre cose, della nomina del prossimo presidente del Consiglio. Non potendo candidarsi a un terzo mandato alla guida della Commissione, Barroso vorrebbe saltare da una presidenza all’altra. Martin Schulz, come nessun presidente del Parlamento europeo aveva mai fatto prima di lui, ha scelto di rimanere al suo posto per un altro mandato. Il funzionamento delle istituzioni europee non sarà facile da spiegare ai comuni mortali, ma se c’è una cosa che tutti i cittadini europei riconoscono al volo, da Helsinki a Nicosia, è la sindrome da attaccamento alla poltrona, e non suscita nessuna simpatia.

Francesca Spinelli è giornalista e traduttrice. Vive a Bruxelles e collabora con Internazionale. Su Twitter: @ettaspin

[14]: http://www.ft.com/cms/s/0/8e4c0c18-002f-11e4-a3f2-00144feab7de.html#axzz379eQpkBl http://www.ombudsman.europa.eu/en/press/release.faces

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