Senza più referenti in parlamento – le maggioranze di centrodestra della tramontata stagione berlusconiana – l’episcopato e una parte del mondo cattolico oggi devono affrontare il nodo delle unioni civili in mare aperto, senza reti di protezione. Se, insomma, è vero che il provvedimento in discussione al senato non ha un consenso parlamentare certo, per lo meno in relazione ad alcuni nodi del contendere, sul versante opposto, quello del Family day, devono fare i conti con uno scenario politico cambiato, sia ecclesiale sia culturale.

La prova, insomma, riguarda tutti e sembra riportare al centro del dibattito pubblico del paese questioni che non toccano la sola ragione economica, anzi: si parla di diritti, di famiglia, di sessualità, di una società che manifesta apertamente esigenze nuove.

Si ripete spesso che l’Italia è l’unico tra i grandi paesi europei a non essersi dotato di una legislazione in materia di unioni omosessuali, il che è dovuto a un insieme di ragioni, tra le quali ha avuto il suo peso l’opposizione decisa dei vescovi e dei settori più tradizionalisti del laicato cattolico. Questi ultimi sono stati a lungo il principale strumento di manovra di un episcopato fortemente impegnato sul piano politico.

Questa posizione non era però casuale o scontata, nasceva al contrario da una impostazione che ha segnato, a partire dalla seconda metà degli anni ottanta, la presenza della chiesa in Italia.

La fine di un rapporto dialettico

Da quell’epoca infatti matura l’idea che i vescovi – non più solo pastori e guide delle comunità – dovessero diventare pienamente titolari di un interventismo sul piano politico. In tal modo si rompeva quel rapporto dialettico tra gerarchie e partiti e associazioni, la Democrazia cristiana (Dc) e la galassia di organizzazioni cattoliche in primo luogo, all’interno del quale si era sviluppata una relazione articolata tra chiesa e politica nel dopoguerra.

È in base a questa distinzione che un leader conservatore come Alcide De Gasperi poté rifiutarsi di “obbedire” a Pio XII quando questi gli chiese di allearsi con i postfascisti del Movimento sociale italiano (Msi) nei primi anni cinquanta pur di non far entrare nell’amministrazione capitolina i partiti della sinistra. De Gasperi scelse invece l’alveo costituzionale e antifascista.

Lungo tale separazione, ancora, nasce l’esperienza del primo centrosinistra cui prendono parte democristiani e socialisti (sotto la guida di leader come Amintore Fanfani e Pietro Nenni) o è possibile l’emergere di figure come Giorgio La Pira, sindaco di Firenze, democristiano aperto ai temi sociali, fino al tentativo di Aldo Moro del compromesso storico con il Partito comunista.

Certo, erano gli anni in cui il concilio Vaticano II apriva la porta della chiesa a un rapporto dinamico con il mondo, i temi della pace e del lavoro erano recuperati pienamente a un cristianesimo che non poteva più restare ancorato alle madonne piangenti degli anni cinquanta.

La crociata contro i Dico

È con Giovanni Paolo II che la chiesa italiana – sotto la guida del cardinale Camillo Ruini – cambia rotta. Se il papa polacco è protagonista attivo nella battaglia per la caduta del muro di Berlino, Ruini – cui viene delegata la gestione degli affari nella penisola – comincia a costruire quella chiesa identitaria, ideologica, che trova sul piano etico e bioetico il suo principale terreno di battaglia.

Negli anni della seconda repubblica, scomparsa la Dc, l’episcopato italiano decide di stringere un’alleanza politica, principalmente con le forze del centrodestra, in cui lo “scambio” è tra “princìpi non negoziabili”, tutelati e promossi al livello legislativo, e un consenso più o meno incondizionato da parte delle gerarchie con il silenzio, in parte imposto, del laicato cattolico nel frattempo normalizzato.

È “il patto trono-altare” con il quale Ruini, non senza abilità politica, ha cercato di rimediare a quella secolarizzazione avanzante, vista come un nemico irriducibile della chiesa in tutta Europa.

Così, unioni tra persone dello stesso sesso, procreazione assistita, finanziamento alle scuole cattoliche, difesa della vita dal concepimento alla sua fine naturale, sono diventate bandiere ideologiche, non più discutibili in nessun aspetto, poste prima e alla base di ogni altro elemento della realtà. Il punto più alto di questa visione viene toccato nel 2007 con il primo Family day: bloccare i Dico (una moderata proposta di legge del centrosinistra in materia di unioni omosessuali) è la crociata del momento.

L’elezione di papa Francesco nel 2013, ha poi cambiato del tutto le carte in tavola

Il disegno salta con il venir meno della centralità di Silvio Berlusconi e del suo sistema di alleanze in primo luogo, ma nel frattempo un cattolicesimo diverso da quello ruiniano prova a dire la sua sull’immigrazione. L’arrivo dei migranti, prima dall’Europa dell’est e poi dall’Africa, toccava inevitabilmente l’essenza stessa del messaggio cristiano, oltre a irrompere nella sfera dei diritti e dei doveri, della cittadinanza, della solidarietà, delle diseguaglianze tra nord e sud del mondo, del razzismo o delle pulsioni xenofobe.

Oggettivamente non era materia digeribile facilmente da forze come la Lega nord o da un partito come Alleanza nazionale. L’elezione di papa Francesco nel 2013, ha poi cambiato del tutto le carte in tavola. Un nuovo modello di chiesa è proposto non da qualche vescovo in lontane contrade del terzo mondo, ma dal vescovo di Roma in persona, il quale mette in un cassetto i valori non negoziabili, pone “gli scartati”, gli esclusi, i poveri, al centro del pontificato, e soprattutto dialoga liberamente con tutti pur senza toccare la dottrina, ma aggiornandone la lettura.

Bergoglio prova, anche all’interno della chiesa, scontrandosi con opposizioni agguerrite, a smantellare una visione in cui l’umanità è giudicata in modo ideologico, catalogata con la ferocia del potere. A questa ultima impostazione – che ha un’eco forte in un’Europa scossa dal terrorismo e dal fondamentalismo cattolico alla polacca o di tipo ungherese – il papa contrappone l’approccio della misericordia, il perdono evangelico quale chiave per costruire ponti e abbracciare l’umanità senza distinzioni.

Vescovi pilota e diritti civili

I vescovi, secondo Jorge Bergoglio, non possono fare i parlamentari (non hanno il ruolo di “vescovi pilota”), sono i laici credenti a dover intervenire nella sfera pubblica, pure con le loro diversità, che poi significa recuperare i princìpi del concilio Vaticano II. Lo stato, in questa prospettiva, non può essere confessionale, neppure in maniera velata.

D’altro canto, rispetto a cinquant’anni fa, sono cambiati i temi del dibattito pubblico, il contesto internazionale, le sfide politiche e culturali. Neanche quello del “cattolico adulto” è più un modello sufficiente, come scrive Massimo Faggioli sull’Huffington Post. Le manifestazioni a favore delle unioni civili hanno mostrato il volto di un paese ormai plurale, mutato nella sua composizione e sensibilità, che convive liberamente con la folla del prossimo Family day. In tal senso, per il mondo cattolico dovrà cominciare una discussione profonda su molti temi, se – alla lunga – non vorrà diventare presenza puramente testimoniale, la qual cosa prescinde pure dal voto del senato.

Ad aver affondato la famiglia sono stati la compressione del welfare, la mancanza di lavoro

Tutta la materia dei diritti civili tocca da vicino la dimensione dell’umano, investe affettività, famiglia, bisogni sociali. Di certo l’attuale leadership dell’episcopato, quella affidata al cardinale Angelo Bagnasco, non potrà essere da guida in questo percorso, e appartiene infatti già al passato.

E d’altro canto, quando il papa dice che al centro della chiesa e del Vangelo ci sono i poveri, pone un’urgenza, al mondo cattolico in primo luogo, per nulla scontata. Sul piano politico e sociale è ben noto inoltre, come, assai più di una tardiva regolarizzazione delle unioni civili, ad aver affondato la famiglia sono stati la compressione del welfare, la mancanza di lavoro, i processi di deindustrializzazione, la decadenza del sistema formativo, l’assenza di cittadinanza per i figli degli immigrati (altro punto non a caso che attiene ai diritti civili e incrocia quelli sociali).

È dunque in questa complessa serie di questioni che il cattolicesimo è chiamato, insieme alle altre componenti della società italiana, a misurarsi e a reinventare se stesso.

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