Da sabato 26 gennaio, entrando nell’atrio del liceo scientifico di Pagani, in provincia di Salerno, ragazze, ragazzi e insegnanti dovranno fare attenzione a non inciampare in una piccola lastra di ottone incastonata tra le mattonelle grigie del pavimento. Quella mattonella dorata, diversa dalle altre, ricorda un loro coetaneo nato in Mali e annegato nelle acque del Mediterraneo a 14 anni, il 18 aprile 2015, nel più spaventoso naufragio avvenuto nel Mediterraneo dalla seconda guerra mondiale, dove morirono annegati nel canale di Sicilia oltre mille esseri umani che cercavano di raggiungere il nostro paese.

Nessuno conosce il suo nome, ma Cristina Cattaneo, medico legale che ha raccolto con cura le sue spoglie, nel libro Naufraghi senza volto ha rivelato un dettaglio che ha commosso molti. Cucito nel risvolto di una tasca dei suoi abiti ha trovato infatti, ben riposta, la sua pagella piena di buoni voti scritti in arabo e francese. Un documento che dava prova del suo impegno scolastico e che lui ha desiderato portare con sé nella lunga traversata del deserto e del mare, perché probabilmente sognava potesse fargli da lasciapassare nel trovare un lavoro o magari proseguire gli studi.

Per ricordare quel ragazzo Elzida Pepe, preside del liceo scientifico Mangino di Pagani, insieme ad alcuni insegnanti ha pensato fosse giusto incollare una piccola targa a terra. Chiedendole ragione di questa scelta, ci ha tenuto a sottolineare che quel segno, ben visibile nel pavimento all’ingresso dell’istituto che dirige, è solo uno dei punti di arrivo di un progetto didattico dedicato ai migranti, frutto di una ricerca che nella scuola dura dal 2015 e ha coinvolto i ragazzi del biennio.

Il tema che abbiamo affrontato con i ragazzi riguarda l’angoscia dei salvati, costretti a ricordare chi non ce l’ha fatta

Gli studenti hanno incontrato in più occasioni un gruppo di profughi presenti nel paese e quest’anno, in occasione della giornata della memoria, hanno preparato uno spettacolo che intrecciava il ricordo degli stermini nazisti con quella che la preside chiama la “shoah sommersa sott’acqua”, a cui assistiamo impotenti da anni.

Parlando con Sofia Fatina, l’insegnante che ha condotto la ricerca, emerge un’esperienza educativa ricca e articolata che ha appassionato ragazze e ragazzi. “Ho sempre cercato di ragionare sulla shoah in classe, cercando collegamenti con l’attualità, la storia e la letteratura. Siamo andati in cerca del valore della memoria in senso universale e nel mito abbiamo incontrato la storia di Antigone, che abbiamo intrecciato con le rime della Ballata del vecchio marinaio di Coleridge e con alcune pagine di Primo Levi. Il tema che ci siamo trovati ad affrontare con i ragazzi riguarda l’angoscia dei salvati, costretti a ricordare tramandando la memoria di chi non ce l’ha fatta.’C’era una volta una nave…’: così comincia la ballata di Coleridge, ma quella nave c’è ancora e noi abbiamo il dovere di ricordare tutti gli olocausti e tutti coloro che muoiono ogni settimana sui barconi”, spiega l’insegnante, aggiungendo che “esplorare l’angoscia del ricordo ci ha portato a trovare nessi stupefacenti, perché nel mito c’è tutto”.

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“La didattica per scenari, promossa dall’Istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa (Indire) nell’ampia rete delle Avanguardie educative, è stata fatta propria a modo loro da alcuni insegnanti del liceo di Pagani e ha permesso di comporre e assemblare per la scena brani letterari”, aggiunge la dirigente scolastica, “offrendo l’opportunità ai ragazzi di studiare a loro insaputa…”.

L’espressione utilizzata dalla preside è curiosa, ma è proprio questo che succede a ragazze e ragazzi quando fanno teatro: entrano in un territorio in cui trovano il modo di esplorare le parole dando loro spessore e senso con le loro voci e nei loro corpi vivi, in movimento, senza accorgersi, per l’appunto, che questo non è che un altro modo, diverso e forse più efficace, di studiare.

“Siamo partiti da Antigone”, riprende la professoressa Fatina, “perché è l’emblema della responsabilità della memoria, e abbiamo trovato sulla nostra strada Hegel, Kant, Hume, Foscolo…”.

Qualsiasi scuola avrebbe forse potuto ospitare le tante ragazze e ragazzi partiti giovanissimi per raggiungere l’Europa

L’artista tedesco Gunter Demnig dal 1992 percorre le città d’Europa proponendo di cementare a terra le sue pietre d’inciampo (Stolpersteine) in modo che si depositi, nel tessuto urbanistico delle città europee, una memoria visiva diffusa dei cittadini deportati nei campi di sterminio nazisti. L’iniziativa consiste nell’inserire nel selciato stradale delle città dei blocchi di pietra ricoperti da una piastra di ottone con scritto il nome di ogni singola vittima, davanti all’ultima abitazione in cui ha vissuto prima di essere deportata nei campi di sterminio. In 25 anni, nelle città di 18 nazioni europee, l’artista ha incastonato più di 56mila pietre d’inciampo.

Ora questo stesso gesto artistico, poetico e di testimonianza civile è stato fatto proprio da un gruppo di studenti e insegnanti del liceo della provincia di Salerno, che alla fine di una loro rappresentazione dedicata a esplorare e a mettere in scena l’angoscia dei sopravvissuti, ha voluto incastonare, nel pavimento della scuola, una targa che ricorda lo sconosciuto ragazzo del Mali annegato con la sua pagella.

Le pietre d’inciampo dell’artista tedesco sono poste all’uscita di una casa in cui la vittima non è potuta tornare, mentre la pietra posta dai ragazzi di Pagani sta sulla soglia di una scuola che forse, se avesse avuto maggiore fortuna, il ragazzo del Mali avrebbe potuto frequentare per completare gli studi a cui teneva tanto.

Qualsiasi scuola avrebbe forse potuto ospitare un giorno quel ragazzo o le tante altre ragazze e ragazzi partiti giovanissimi per raggiungere l’Europa spesso soli e mai giunti a destinazione, che noi chiamiamo distrattamente minori non accompagnati.

Ecco perché questo gesto simbolico potente, immaginato nel liceo di un paese del sud, è stato fatto proprio dal tavolo di coordinamento SaltaMuri (www.saltamuri.it), che da settembre coordina la maggioranza delle associazioni professionali dei docenti e oltre 130 gruppi e associazioni impegnate nella società civile contro ogni discriminazione. Quel gesto può essere infatti preso in considerazione nelle moltissime altre scuole che in tutta Italia, in questi mesi, si stanno impegnando in percorsi didattici che affrontano il tema delle migrazioni.

Quando siamo in grado di raccogliere e ascoltare storie di sofferenza senza voltarci dall’altra parte e impariamo a sostare e a ragionare intorno a dati che rivelano la complessità di una questione ineludibile, la scuola riesce davvero a ritrovare il ruolo di costruttrice di cultura che le spetta, liberandoci dalla superficialità di frasi fatte e dai troppi demagogici tweet che, semplificando la realtà, non ci fanno capire nulla di ciò che accade davvero intorno a noi.

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