Rammendare è un concetto preconsumistico, risalente ai tempi in cui non si buttava niente, si rassettava, ricuciva, rattoppava. Era un’attività squisitamente femminile, eseguita senza alcun compenso, idealmente davanti al camino la sera, dopo che le altre faccende domestiche erano state svolte.

L’attività è scomparsa nel dopoguerra, ma il concetto no. All’esame di maturità dello scorso giugno è saltato fuori come tema di attualità. In un articolo apparso qualche mese prima sul Sole 24 Ore, dal titolo “Il rammendo delle periferie”, l’architetto Renzo Piano aveva lanciato un appello per il recupero delle periferie urbane in Italia. “Sono proprio le periferie la città del futuro, quella dove si concentra l’energia umana e quella che lasceremo in eredità ai nostri figli,” ha scritto Piano. “C’è bisogno di una gigantesca opera di rammendo,” perché le periferie sono “la grande scommessa urbana dei prossimi decenni.”

Tra i liceali che hanno svolto questo tema c’era Vladlena Scrob, studentessa moldova che abita alla Borghesiana, zona est di Roma. Vladlena ha vinto un premio per il miglior tema sull’argomento. Ha descritto un ciliegio in fiore accanto ai cassonetti dell’immondizia del suo quartiere, trovando ottimismo dove i più maturi residenti di Roma est forse non ne vedono.

Nel frattempo anche Debora Serracchiani ha adoperato il rammendo. “Abbiamo fatto in questi mesi un lavoro di cucitura, di rammendo e anche di coesione dentro il Partito democratico,” diceva a proposito dei renziani, criticati dall’ex segretario Pierluigi Bersani. E in questi giorni, quando il cielo si è aperto e la pioggia ha portato via uomini, donne, case e terre, c’era chi parlava di rammendare il territorio.

Ammetto volentieri che anche a me piace fare rammendi. Spesso i miei sono peggiori del buco, eppure mi consola l’idea di conservare, di risparmiare, di non sprecare. Mi fa sentire leggera e virtuosa. Anche se non mi mancano i soldi per compare una nuova maglietta, continuare a portare quella vecchia mi conferma in quella sobria attività di risparmio, quell’etica protestante in cui sono cresciuta (e in cui forse è cresciuto anche Renzo Piano). Credo che l’idea di aggiustare e abbellire le periferie invece di costruirne di nuove sia valida, economicamente e dal punto di vista ambientale. Ma non credo che lo sia sul piano politico.

Com’è distorta la virtù di chi si compiace troppo di conservare la vecchia maglietta, è altrettanto distorto pensare di “rammendare” quando si tratta di scontri sociali accesi. Visto dalla periferia è un approccio tirchio, ipocrita. Un approccio da ricchi imposto ai poveri. Non si consigliano rammendi a quartieri inviperiti come Tor Sapienza a Roma. Credo che ci sia bisogno di un vocabolario completamente diverso.

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