Il mio paese, il Perù, è a pezzi e la pandemia gli ha dato il colpo di grazia. Inoltre si trova di fronte a un nuovo bivio politico. Ogni cinque anni i cittadini si lamentano della situazione e votano per il “male minore”, nel tentativo di salvare il paese da qualcosa di più pericoloso. È una storia a cui molti hanno creduto. Il male maggiore ha sempre avuto un cognome: Fujimori. A ogni elezione la sensazione è la stessa: quella di non decidere nulla, di essere portati a legittimare sempre la stessa casta e lo stesso modello economico, in altre parole a prolungare il fujimorismo, ma senza l’ex dittatore Alberto Fujimori.
Il modello è il capitalismo selvaggio, gestito da una dinastia che ha fatto della corruzione, dell’autoritarismo e della violazione dei diritti umani uno stile di governo; che ha cancellato le istituzioni, ha svenduto il paese al miglior offerente, ha agito come una mafia, ha rubato milioni di dollari dalle casse pubbliche. E che ha scritto una costituzione neoliberista, la stessa che doveva gettare le basi del tanto strombazzato “sviluppo economico peruviano”, il quale arriva sempre per alcuni ma è eternamente negato ad altri.
Una volta che il “modello” è al sicuro, chi vorrebbe riportare un Fujimori al potere? Nessuno. Keiko Fujimori, la figlia del dittatore, sotto inchiesta per riciclaggio di denaro sporco e per essere stata a capo di un’organizzazione criminale, si è già candidata due volte alla presidenza, e in entrambe le occasioni il voto contro il fujimorismo è bastato a fermarla. Ma quest’anno per la prima volta potrebbe vincere davvero, anzi, ha ottime probabilità. Il fatto è che per la prima volta il ballottaggio, in programma a giugno, non sarà tra due candidati di destra. Per la prima volta, il “modello” è davvero a rischio.
Keiko Fujimori si spaccerà per l’opzione democratica davanti al chavista, leninista, castrista Castillo
Come si è arrivati a questa situazione? Il fatto è che nessuno degli altri candidati di destra è riuscito a superare Fujimori. Stavolta le destre hanno sbagliato tutto, si sono presentate divise. A sinistra invece sono emerse due candidature interessanti. Quella moderna e femminista di Verónika Mendoza, che stava andando bene ma è stata presa di mira dai mezzi d’informazione del regime; e un’altra, a cui nessuno dava importanza, e che fino all’inizio di aprile i sondaggi davano al 2 per cento. Nel giro di pochi giorni, il candidato a cui nessuno aveva prestato attenzione è arrivato in testa ai sondaggi, e l’11 aprile ha vinto al primo turno: si chiama Pedro Castillo, porta un cappello di paglia ed è un maestro di campagna, sindacalista della scuola e radicale di sinistra. Castillo ha ottenuto molti voti nelle regioni povere delle Ande. Nel suo programma di governo ci sono idee sensate che proponeva anche Mendoza, per esempio scrivere una nuova costituzione che sostituisca quella fujimorista, riprendersi la sovranità su alcune risorse del paese, come il gas, aumentare la spesa per l’istruzione e la salute; e poi proposte assurde come istituire la pena di morte e negare i diritti lgbt. Su alcuni temi Castillo è conservatore quanto Fujimori, ed è antiabortista. Non è proprio un paladino delle minoranze.
Ma è questa la sinistra che ha scelto la gente fuori da Lima, una sinistra anacronistica. Il voto contro il sistema è andato a favore di Castillo, il voto di chi abita vicino ai grandi siti di estrazione mineraria, che vive nella povertà mentre vede che l’acqua s’inquina. Il fatto che queste persone s’identifichino con Castillo è un segnale di allarme per il resto del paese. E nell’aria c’è un odore di rivendicazione storica e anticoloniale contro un’élite miope. Al primo turno però Castillo ha ottenuto solo il 18 per cento dei voti, una percentuale ben lontana dalla maggioranza. E forse è l’unico candidato contro cui Keiko Fujimori ha delle possibilità. Anche se in certe regioni l’entusiasmo per Castillo è reale, è altrettanto vero che la destra si è ricompattata. Ha capito che Fujimori è l’unica in grado di neutralizzare tutti i discorsi anticapitalisti che, nel contesto della pandemia, per la prima volta in molti anni non sono caduti nel vuoto. Keiko Fujimori si spaccerà per l’opzione democratica davanti al chavista, leninista, castrista Castillo.
Siamo arrivati a una situazione tale per cui il peruviano medio – e non parlo neanche di chi vive nella povertà estrema – deve accettare che, se si ammala gravemente di covid, morirà per la mancanza di letti in terapia intensiva. Per questo il voto di Castillo è diventato il voto della dissidenza.
A queste elezioni la destra si è presentata come un mostro a cinque teste, e la più forte è sopravvissuta. E se non ha accettato l’arrivo di una sinistra moderna, sarà impietosa con quella anacronistica di Castillo. Lui forse potrebbe stringere qualche accordo in cerca del voto dei moderati, firmare un patto di non aggressione con il femminismo e soprattutto conquistare il voto antifujimorista, che è sempre stato numeroso. Keiko Fujimori, dal canto suo, non deve fare nulla. Temo che oggi il Perù sia più di destra che antifujimorista. E la pagheremo cara.
(Traduzione di Francesca Rossetti)
Questo articolo è uscito sul numero 1406 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati
Internazionale ha una newsletter che racconta cosa succede in America Latina. Ci si iscrive qui.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it