L’ex commissario Ue alla salute John Dalli. (Wiktor Dabkowski, Zumapress/Corbis)

La vicenda che ha per protagonista l’ex commissario Ue alla salute John Dalli è talmente imbarazzante che il Parlamento europeo non ha saputo fare altro che nascondere la testa sotto la sabbia, votando contro l’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta proposta dai Verdi.

Cominciamo dall’inizio. Nel maggio 2012 la Swedish Match, azienda svedese produttrice tabacco legata al gruppo Philip Morris, si rivolge all’Ufficio europeo per la lotta alle frodi (Olaf) per denunciare un tentativo di concussione da parte di Silvio Zammit, un imprenditore maltese vicino al suo connazionale Dalli, allora impegnato nella stesura della nuova direttiva Ue sul tabacco. Zammit avrebbe offerto a Gayle Kimberley, una lobbista della Swedish Match, un dossier che avrebbe esentato lo snus – il tabacco da masticare consumato soprattutto in Scandinavia – dal bando alla vendita nei paesi Ue. In un incontro successivo, al quale avrebbe partecipato lo stesso Dalli, Zammit avrebbe chiesto a Kimberley una tangente da 50 milioni di euro in cambio del servizio.

Il 15 ottobre 2012 l’Olaf presenta il resoconto della sua inchiesta al presidente della Commissione europea José Manuel Durão Barroso. Il 16 ottobre un comunicato della Commissione annuncia le dimissioni di Dalli: è la prima volta che un commissario europeo lascia la carica dallo scandalo Santer nel 1999. Poco dopo, però, Dalli smentisce tutte le accuse affermando di essere vittima di un complotto ordito dalle lobby del tabacco per bloccare la nuova direttiva e di essere stato costretto a dimettersi da Barroso.

Dalli non aveva molti amici a Bruxelles. La sua gestione della crisi dell’E.coli, per esempio, aveva lasciato quasi tutti scontenti. Ma i nemici più grossi se li era fatti con la nuova direttiva che avrebbe dovuto introdurre misure assai temute dai giganti del settore, come il “plain packaging” e il divieto degli espositori nelle tabaccherie.

Il 18 ottobre un altro colpo di scena: un palazzo di uffici nel quartiere europeo di Bruxelles viene visitato dai ladri. Curiosamente, però, entrano solo nelle sedi di Sfp, European Public Health Association ed European Respiratory Society – tre ong impegnate nella lotta al tabagismo che avevano più volte denunciato i tentativi della lobby del tabacco di bloccare la nuova direttiva – portando via solo dei computer e alcuni documenti relativi alle loro campagne.

L’obiettivo delle lobby è stato raggiunto, affermano le ong: la caduta di Dalli significa che la direttiva, già in ritardo sui tempi, non sarà discussa prima della scadenza del mandato dell’attuale Commissione e sarà passata in eredità a quella che emergerà dopo le elezioni europee del 2014. Mesi preziosi in cui i produttori di tabacco potranno perfezionare la loro strategia difensiva, oltre a incassare ricavi inalterati.

Nella Commissione il posto di Dalli viene preso dal suo connazionale e compagno di partito Tonio Borg. Ma alcuni aspetti del “Dalligate”, come è stata ribattezzata la vicenda, non convincono gli osservatori. A cominciare dal rapporto dell’Olaf, che l’ufficio si rifiuta di rendere pubblico nonostante le molte richieste in tal senso. La spiegazione offerta dall’Olaf è che non si devono turbare le indagini delle autorità maltesi, ma secondo molti il vero problema è che l’inchiesta presenta gravi vizi procedurali. Inoltre emerge che gli incontri tra funzionari europei e i lobbisti non iscritti al registro europeo dei gruppi di interesse, come quello di cui è accusato Dalli, sarebbero invece all’ordine del giorno: la Commissione Barroso ne avrebbe avuti almeno altri sei solo con i rappresentanti dell’industria del tabacco. Un segreto di Pulcinella secondo gli attivisti anti-lobby, che denunciano da anni il proliferare delle relazioni incestuose tra i legislatori europei e gli uomini delle banche e delle grandi industrie, molti dei quali – come Kimberley – sono insider di Bruxelles che hanno lavorato per anni per le istituzioni europee. Il gruppo dei Verdi al Parlamento europeo chiede l’istituzione di una commissione d’inchiesta.

Il 21 marzo scoppia la bomba: un altro lobbista della Swedish Match, Johann Gabrielsson (ex membro del team legale del Consiglio europeo), confessa all’eurodeputato verde francese José Bové che l’incontro tra Dalli, Zammit e Kimberley alla base delle accuse contro l’ex commissario non avrebbe mai avuto luogo, e che l’Olaf lo avrebbe spinto a nascondere questo piccolo particolare durante la sua audizione davanti al Parlamento europeo a gennaio. Molte voci si levano per chiedere le dimissioni del direttore dell’Olaf, l’italiano Giovanni Kessler, ex senatore e membro del Pd. Kessler le esclude categoricamente, sostenendo di non aver fatto nulla di male, ma soprattutto rifiuta ancora una volta di rendere pubblico il famoso rapporto.

A questo punto i dubbi sembrano davvero troppi. Chi sta incastrando chi? Dalli è davvero vittima dell’industria del tabacco – o di una manovra politica maltese, come affermano altri – o è l’intera Commissione ad aver subito un’enorme tentativo di delegittimazione? Le stesse autorità che devono difendere l’autonomia di Bruxelles sono in mano alle lobby? Nel dubbio, il Parlamento europeo sceglie di non sapere: l’11 aprile i principali gruppi politici – popolari, socialisti e liberali – hanno votato contro la creazione della commissione d’inchiesta sul caso Dalli. Un inciucio su scala continentale, direbbe Beppe Grillo. Tutti hanno buoni motivi per volersi lasciare la vicenda alle spalle al più presto, dato che a essere coinvolti sono membri di tutti gli schieramenti. Ma, come ha commentato Bové, “è la strategia peggiore, e rischia di far ingrossare ulteriormente i populismi” in vista delle elezioni europee del 2014.

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