Sembra che l’Italia non cambi mai. È un paese immobile, ripiegato su se stesso, dove anche cinque anni di grave crisi non sono serviti a cambiare il modo di fare politica: non si guarda l’interesse generale, ma sempre quello delle lobbies politiche ed economiche.

La politica italiana ama i rituali e aggira i contenuti. Come quando, per esempio, affossa la legge di stabilità con migliaia di emendamenti. Un rituale senza senso, ma ovviamente irrinunciabile. Mentre cinque milioni di italiani vivono in povertà assoluta e la disoccupazione ha raggiunto livelli record, il dibattito politico è dominato da un argomento: la decadenza dal senato di un vecchio monarca che ha trascinato il paese in un declino inarrestabile dopo aver promesso una rivoluzione liberale.

A questa Italia congelata e rassegnata la stampa internazionale dedica articoli dal tono sempre più disincantato. Così il New York Times (”

L’Italia che spezza il cuore”) e la Frankfurter Allgemeine Zeitung (“Ritratto di un paese senza futuro”) raccontano un paese in stallo e un crescente senso di impotenza tra gli italiani: “La festa è finita e del buffet non restano che le briciole”. La percezione coincide con il recente rapporto dell’Ocse: la percentuale di italiani che si dichiarano soddisfatti della loro vita è scesa dal 58 per cento al 42 per cento, uno dei peggiori dati in Europa. L’Italia si trova anche in fondo alla classifica sulle conoscenze essenziali per orientarsi nella società del terzo millennio.

Un dossier di Confindustria rivela che quattro italiani su dieci non hanno mai usato internet. E secondo una recente inchiesta dell’Unione europea il 44 per cento degli italiani l’anno scorso non ha letto neanche un libro, e il 70 per cento non ha visitato un museo.

Il New York Times parla di “amaro ricordo di un passato glorioso, di una grandezza che non esiste più da tempo”. Conferma la Frankfurter: “L’immagine di questo paese un tempo paradisiaco è ormai distrutta”. La stampa mondiale osserva sbigottita il penoso balletto quotidiano per evitare la decadenza di Berlusconi: “Condannato, caduto, ma sempre al centro dell’attenzione”, si stupisce il quotidiano conservatore Die Welt. Con sguardo infastidito la stampa mondiale osserva l’esercito di cortigiani del Cavaliere che denuncia

l’omicidio politico, e l’imbarazzante servilismo di un Sandro Bondi che sostiene l’ardita tesi che “Silvio Berlusconi sul piano internazionale è stato troppo innovativo per essere compreso”.

L’Italia è in mano a due partiti distratti da continue fibrillazioni interne. La scarsa fantasia di un governo che si accontenta di galleggiare è in grado solo di creare quotidianamente sigle di nuove tasse come Tarsu, Tuc, Tari e Trise. Fatalismo, paralisi, rassegnazione, declino: sono questi i concetti più usati negli articoli sull’Italia. E colpisce la citazione del corrispondente di Le Monde, Philippe Ridet, al quale il predecessore aveva lasciato sulla scrivania il seguente biglietto: “Dopo cinque anni lascio un paese nello stesso stato in cui l’ho trovato”.

Secondo il New York Times “l’Italia è l’esempio di quello che succede quando il malfunzionamento della politica si trascina all’infinito”.

Giudizio quasi banale, ma difficile da contraddire.

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