Una delle domande che mi sono posto mentre seguivo l’attacco contro Charlie Hebdo è stata: “Come gestisco questa notizia con le mie figlie?”. Da un paio d’anni infatti abbiamo l’abitudine di seguire insieme il telegiornale e di discutere insieme le notizie, in particolare i fatti di cronaca, che sembrano colpirle di più. Sono del parere che la verità non vada nascosta e che siano abbastanza mature per conoscere, seppure in modo mediato, anche gli aspetti meno gradevoli del mondo nel quale vivono.
Hanno undici anni e non vedono film violenti né sono attratte dai videogiochi di guerra. L’unica violenza con la quale sono in contatto è quindi quella del mondo reale, così come viene raccontata dai telegiornali che vediamo di solito, quelli della tv pubblica francese o belga, che comunque sono pensati per il pubblico della prima serata e sono appunto abbastanza “gestibili”, anche perché c’è un certo sforzo di pedagogia da parte dei conduttori.
Ma l’attentato contro il settimanale satirico, le immagini della sparatoria e l’ondata di emozione provocata in Francia e nel mondo, gli interventi delle persone intervistate in studio e per strada così come le mie reazioni – rabbia, commozione, irritabilità – suscitano nelle bambine delle domande alle quali è sempre più difficile rispondere, o addirittura le lasciano ammutolite. In questo caso devo prendere l’iniziativa e farle parlare, perché nel silenzio cercano da sole delle risposte che possono essere fonte di angoscia.
È stato anche necessario rassicurarle sul fatto che è molto molto difficile che la stessa cosa succeda a me, un bersaglio decisamente meno interessante, anche perché ora ci sono dei poliziotti armati davanti all’ingresso della redazione (meglio tacere il fatto che l’ingresso del retro era invece aperto). Insomma le parole chiave, come ricorda la psicologa Béatrice Copper-Royer su Le Monde, sono “spiegare e rassicurare”. Più complicato è il discorso intorno alla libertà di espressione, perché
la violenza dei suoi avversari porta i bambini a preferire la prudenza e la sicurezza rispetto alla difesa di un principio.
Ovviamente il giorno dopo l’attacco hanno osservato un minuto di silenzio a scuola e discusso della strage con gli insegnanti, alcuni dei quali sembra fossero visibilmente scossi, forse anche perché conoscevano personalmente Tignous, uno dei disegnatori uccisi, che abitava nel nostro quartiere e le cui figlie frequentano la vicina scuola elementare.
Per fortuna poi in Francia esiste un bellissimo quotidiano per i bambini di 10-14 anni, Mon Quotidien, che, con grande senso civico, ha avuto un’ottima iniziativa l’indomani della strage: un numero speciale dedicato a come spiegare la strage ai bambini, da scaricare gratuitamente. Charb, il direttore di Charlie Hebdo, ucciso anche lui il 7 gennaio, aveva ideato Quotillon, la mascotte di Mon Quotidien, a dimostrazione di come il suo talento e la sua sensibilità gli consentissero di rivolgersi a pubblici completamente diversi. A piangerlo sono ora grandi e piccoli. Bel colpo.
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