Sono giorni di grandi successi per il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, per la destra e per i nazionalisti. Questi sono giorni di vittoria per il loro percorso, quello della forza, e della loro fede, quella negli eletti che possono fare tutto ciò che vogliono.

L’Iran è stato pubblicamente umiliato, i palestinesi sono stati schiacciati e il 14 maggio sono stati calpestati in pompa magna e con tanto di cerimoniale mentre l’ambasciata statunitense veniva aperta a Gerusalemme. Gaza è assediata e Israele festeggia. Il 14 maggio, giorno del trasferimento dell’ambasciata, molti innocenti sono stati uccisi a Gaza e in Cisgiordania; il giorno dopo, memoria della nakba, la catastrofe palestinese, molti altri moriranno.

Ecco un breve riassunto della vittoria israeliana: cumuli di corpi palestinesi, dei quali il mondo ha smesso di interessarsi, un assedio a Gaza che non importa a nessuno, le basi iraniane bombardate senza alcuna reazione, l’Iran sotto sanzioni e un’ambasciata statunitense a Gerusalemme che è un regalo per l’occupante e uno schiaffo in faccia agli occupati. Ci sono buone ragioni per le gioiose grida di vittoria in Israele.

Profezie a vuoto
Prima i coloni hanno vinto e deciso il destino dello stato e del governo; poi il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha vinto e ha concesso a Israele il permesso di fare qualsiasi cosa volesse; e ora Netanyahu è stato dichiarato il grande vincitore. Questi sono i giorni della vittoria della sua dottrina e del suo Israele.

Dovremmo ammetterlo. Le profezie di sventura – che un giorno tutto questo ci esploderà in faccia; gli ammonimenti sul fatto che l’occupazione non durerà per sempre; e gli avvertimenti che Israele non può vivere solo con la sua spada e che l’Iran è molto pericoloso – finora hanno dimostrato di essere false. Niente è esploso, la vita con la spada in mano ha dato i suoi frutti, la fine dell’occupazione è sempre più lontana e la stessa cosa per il governo di destra.

Questa previsione deprimente è la più ottimistica. L’alternativa è la guerra con l’Iran, Hezbollah e Hamas e chissà chi altro. È così quando non ci sono alternative, idee e leadership. Sparare ai manifestanti a Gaza e assedio perpetuo? Tutti d’accordo. Annullare l’accordo con l’Iran e bombardare in Siria? Tutti applaudono. E quasi tutti festeggiano il trasferimento dell’ambasciata a Gerusalemme. Oggi gli Stati Uniti dicono ai palestinesi che non gli importa più del loro destino, che ai loro occhi non hanno diritti, che la soluzione dei due stati è morta. All’Iran, Washington ha detto: Netanyahu aveva ragione. L’accordo è pessimo e dovrebbe essere abolito. Due regali gratis per Israele.

Sono risultati terribili. Dimostrano a Israele che la forza paga, che non c’è bisogno di considerare l’altro, che qui il diritto internazionale non si applica. Il 13 maggio Israele ha celebrato il giorno in cui Gerusalemme Est è stata conquistata e il 14 maggio celebrerà la sua continuazione. Due parate si svolgeranno l’una dopo l’altra, la prima israeliana e la seconda statunitense, e sono entrambe arroganti e aggressive. Spostare l’ambasciata schiacciando ciò che resta della dignità dei palestinesi è un chiaro segnale degli Stati Uniti per Israele: continuate a uccidere, a schiacciare e ignorare i loro diritti. L’America non solo permette, arma e finanzia tutto questo, ma perfino lo incoraggia.

Lo spostamento dell’ambasciata è un motivo di festa solo per la destra. Tutti gli altri, una minoranza trascurabile, dovrebbero piangere questo passo unilaterale. Lo stesso vale per i bombardamenti in Siria, che un tweet ha definito con entusiasmo un “concerto”. Una linea diretta collega la mossa dell’ambasciata, l’uscita dall’accordo con l’Iran e gli attentati in Siria: prima Israele. Solo Israele.

E qual è l’alternativa? Non è stata nemmeno discussa. Invece di aprire un’ambasciata statunitense a Gerusalemme, che è in parte occupata, si potrebbero stabilire due ambasciate nella città. Invece di massacrare i manifestanti a Gaza, si potrebbe rispondere ai segnali di Hamas e raggiungere un accordo per rimuovere il blocco; invece di abbandonare l’accordo con l’Iran, si potrebbe mantenerlo con l’incoraggiamento di Israele; e invece di bombardare le basi iraniane, si potrebbe cercare di dialogare con l’Iran, direttamente o indirettamente. Non è così eccitante come bombardare né come esibire un mucchio di fascicoli sull’Iran. Ma queste potevano essere le vere vittorie di Israele.

(Traduzione di Stefania Mascetti)

Questo articolo è stato pubblicato dal quotidiano israeliano Haaretz.

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