Per Israele sono illegali, ma sono gli operai palestinesi a costruire il paese
La disumanizzazione comincia con la cieca adozione dei concetti imposti dall’apparato della difesa. Succede per esempio con il termine shabahim, un acronimo usato dall’esercito israeliano per riferirsi agli esseri umani, letteralmente “transitanti illegali”, cioè i palestinesi che dalla Striscia di Gaza o dalla Cisgiordania attraversano il confine e restano in Israele per ore o giorni senza un permesso. È così che decine di migliaia di lavoratori giornalieri, le persone che costruiscono le nostre case e le nostre strade, diventano non-persone. Da qui deriva la licenza di compiere abusi.
Allo stesso modo l’espressione “detenzione amministrativa” consente la carcerazione senza processo; “turbamento dell’ordine pubblico” giustifica la dispersione delle manifestazioni con l’uso di una forza che a volte diventa letale, come nelle peggiori dittature; e “organizzazione terroristica” può servire da copertura per eliminare qualunque partito politico, come in un regime totalitario. Così shabah è stato coniato per consentire i soprusi contro chiunque rientri in questa definizione.
Lo shabah è un transitante “illegale” nella propria terra, dalla quale furono espulsi i suoi antenati. La legge è la legge del conquistatore, dell’occupante; una legge illegittima che divide, discrimina e impone che solo i coloni ebrei possano muoversi liberamente. Chi nega l’apartheid israeliano nasconde questa realtà. Ma la verità è che gli unici shabahim sono i coloni. Sono loro i transitanti illegittimi in una terra che non gli appartiene. Ma il lessico israeliano nega tutto ciò.
La parte peggiore
In una recente puntata del programma Hamakor, in onda su Channel canale 13, Haim Rivlin ha raccontato l’inquietante storia dei cinque poliziotti di frontiera che il 16 luglio scorso hanno “dato la caccia” agli shabahim e li hanno picchiati nella foresta di Meitar, nel nord del Negev: la diffusione della notizia è un evento importante e raro nei mezzi d’informazione israeliani, che sistematicamente occultano l’occupazione e i suoi crimini al pubblico che non vuole vederli.
Ma anche questo servizio non si è discostato molto dal consueto punto di vista rassicurante, concentrandosi sul fatto che gli agenti hanno derubato le loro vittime, oltre ad averle sottoposte a violenze fisiche. Ed è il furto il motivo per cui sono stati incriminati, a differenza degli agenti che quotidianamente commettono soprusi contro gli shabahim, ma non vengono mai perseguiti.
Qualunque tipo di violenza può essere giustificato come parte del culto della sicurezza, ma non il furto. Hamakor ha posto l’attenzione sul furto, come se quella fosse la parte peggiore, anche se mostrava la cattiveria dei colpi, l’umiliazione e il sadico piacere degli aggressori.
Madjdi Ikhtat è uno delle decine di migliaia di palestinesi che hanno costruito il nostro paese per noi. Nessuno è più invisibile di loro
Circa tre mesi fa io e il fotografo Alex Levac abbiamo incontrato una delle vittime del pestaggio, Madjdi Ikhtat. L’uomo è comparso anche nel servizio di Rivlin, con il volto insanguinato, mentre gli veniva ordinato di spogliarsi di fronte a un’agente di frontiera, che riprendeva allegramente la scena con lo smartphone e non è stata incriminata.
Ecco a voi lo shabah che Israele autorizza a seviziare (ma non a derubare, per carità): 32 anni, padre di tre figli, con una laurea della Open university di Hebron in letteratura araba e un permesso per lavorare come operaio edile in Israele, dove sta costruendo la città di Beer Sheva. È stato braccato perché era sgattaiolato attraverso uno dei buchi nella barriera di separazione che l’esercito israeliano ha lasciato volutamente aperti. Ogni mattina alle 3.30 Ikhtat lasciava casa sua nelle colline a sud di Hebron per rientrare dopo l’imbrunire. L’unico modo per sostenere la sua famiglia è attraverso questo duro e umiliante lavoro in Israele.
Gli agenti della polizia di frontiera lo hanno picchiato con mazze e tirapugni. Ikhtat ha contribuito allo stato più di quanto abbiano fatto loro. Lui lo sta costruendo, come componente del Battaglione palestinese dei lavoratori, che ha sostituito il Battaglione dei lavoratori ebrei, facendo un lavoro un tempo considerato pionieristico e molto apprezzato. Dopo che quegli spregevoli poliziotti lo hanno pestato, il permesso di lavoro israeliano gli è stato revocato. Così sono trattate abitualmente le vittime di violenza istituzionale, per timore che possano cercare vendetta.
Ikhtat non si è ripreso dal trauma. È giovane, senza un presente e senza un passato. Vive non lontano da casa mia, che è stata costruita da alcuni dei suoi amici. È uno delle decine di migliaia di palestinesi che hanno costruito il nostro paese per noi. Sono invisibili, nessuno è più invisibile di loro.
In Israele ci sono pochissimi cantieri edili senza lavoratori palestinesi, alcuni di loro shabahim. Pochissimi sono gli shabahim che negli ultimi anni sono stati coinvolti in atti di terrorismo. Ma gli viene data la caccia e sono maltrattati, invece di essere rispettati perché fanno il lavoro sporco che nessun ebreo vuole fare. E a volte i loro aggressori li derubano anche. E allora, e solo allora, siamo sconvolti davvero nel profondo.
(Traduzione di Francesco De Lellis)
Questo articolo è stato pubblicato dal quotidiano israeliano Haaretz.