Ogni israeliano onesto dovrebbe essere felice delle notizie arrivate il 5 febbraio dall’Aja: la Corte penale internazionale (Cpi) ha la giurisdizione d’indagare sui presunti crimini di guerra commessi da Israele nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania. Finalmente, dopo 53 anni.

È vero che la strada per perseguire i colpevoli è ancora lunga e forse impraticabile, ma un nuovo linguaggio – che sarà impossibile ignorare – si sta facendo strada nel dibattito vanaglorioso e arrogante d’Israele, un paese che se ne infischia del diritto internazionale.

Non pochi, nell’establishment militare e politico israeliano, cominceranno a sudare nei mesi a venire. Avvocati esperti saranno assunti per difenderli. Alcuni di loro avranno paura di viaggiare all’estero nel timore di essere arrestati. Sono buone notizie. Forse in questo modo cominceranno a pensare alle loro azioni in modo diverso. Forse la paura di essere processati li limiterà in futuro. Forse alle prossime elezioni un candidato “centrista” come Benny Gantz non si vanterà del numero di tombe in Libano di cui è responsabile. Forse un altro candidato “centrista” come Moshe Ya’alon, che ha assassinato Khalil al Wazir (Abu Jihad) nel suo letto e che, come ministro della difesa, ha condotto l’operazione Margine di protezione nella Striscia di Gaza nell’estate del 2014, comincerà a vergognarsi almeno un po’ delle sue azioni.

La preoccupazione espressa dopo la decisione – e cioè che l’inchiesta potrebbe avere un effetto dissuasivo sull’esercito israeliano, che scoraggerebbe gli ufficiali dall’intervenire negli insediamenti in Cisgiordania e forse li spingerebbe a pensarci due volte prima di bombardare Gaza – non è paura, ma l’inizio della speranza.

Invece di mettersi a disposizione della Corte, Israele ha reagito con un fiume d’indignazione, lamentele e minacce

Il primo banco di prova sarà la risposta dell’establishment politico e dei mezzi d’informazione israeliani. Finora hanno confermato che – come sempre quando si parla di sostegno all’occupazione – non c’è differenza tra sinistra e destra, e che non esiste alcuna stampa coraggiosa: Israele si è compattata quasi totalmente, assumendo il ruolo della vittima e attaccando, la cosa che ama fare più di ogni altra. Invece di mettersi a disposizione del tribunale, ringraziandolo per aver cercato la verità – dopotutto, non c’è niente da nascondere – e annunciando che collaborerà con l’indagine, Israele ha reagito con un fiume d’indignazione, lamentele e minacce.

Lasciamo stare la destra, che sicuramente non capisce la questione. Ma il leader dell’opposizione, Yair Lapid, ha definito la decisione “vergognosa”, sostenendo che “incoraggia la resistenza palestinese”. Ho capito bene? Resistenza palestinese? Lapid, il difensore dello stato di diritto, si pronuncia contro il tribunale? “Sono fiero dei soldati e degli ufficiali dell’esercito israeliano che ci proteggono”, ha recitato Lapid, come un bambino al suo bar mitzvah. Chi ha bisogno di un leader di destra come Gideon Sa’ar, che nega la soluzione e due stati, quando abbiamo un tipo come Lapid?

Yair Golan, dell’ala sinistra del partito Meretz, soddisfa ogni necessità di quella destra. “Israele non ha commesso nessun crimine di guerra nei Territori occupati”, ha annunciato il generale, che di crimini di guerra ne sa qualcosa. Il cosiddetto protocollo di vicinato, infatti, in base al quale i soldati portano con sé dei palestinesi come scudi umani durante le perquisizioni, è infatti l’eredità lasciata da Golan nell’esercito d’Israele. Con una sinistra così, non abbiamo bisogno che Gilad Erdan, ambasciatore d’Israele negli Stati Uniti e alle Nazioni Unite, urli contro l’“antisemitismo” a Washington.

L’unica possibilità
Anche i mezzi d’informazione israeliani, la maggior parte dei quali ha incitato i militari ad attaccare durante l’operazione Margine di protezione, non capiscono cosa voglia improvvisamente il mondo da un paese puro e innocente come Israele, che si sta solo difendendo dalla distruzione.

Il presidente delle Filippine, Rodrigo Duterte, ha ritirato il suo paese dalla Corte penale internazionale a causa delle indagini sulla sua sanguinosa guerra agli spacciatori di droga. Israele non ha mai aderito alla Cpi per timore di essere indagato. Certo, non si tratta di un tribunale perfetto. È molto severo con i deboli: finora sono stati perseguiti solo criminali di guerra africani. Ma non possiamo farne a meno. Per un paese come Israele, che non ha mai indagato sui presunti crimini di guerra commessi dal suo esercito e dal suo governo, non c’è altra scelta che guardare con speranza all’Aja.

Almeno mille civili innocenti sono stati uccisi durante l’operazione Margine di protezione; più di duecento manifestanti disarmati sono stati uccisi alla barriera di confine di Gaza; ogni insediamento di coloni è un crimine di guerra. Queste evidenti verità non sono mai penetrate nel dibattito pubblico manipolato d’Israele. Forse adesso un pubblico ministero del Gambia, un giudice del Benin e uno francese faranno quello che la nostra stimata e celebrata corte suprema non ha mai osato fare.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è uscito sul quotidiano israeliano Haaretz.

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