Nel word cloud dell’intervento alle camere del nuovo presidente della repubblica Sergio Mattarella spiccavano due parole: mafia e corruzione. Sono due patologie italiane che il presidente conosce da vicino.
Nel 1980 suo fratello Piersanti, allora presidente della regione Sicilia, venne assassinato dalla mafia. Un trauma che spinse Sergio a impegnarsi in prima persona in politica. Qui si imbatté subito negli scandali di corruzione e inquinamento della vita istituzionale del paese.
Il suo primo incarico nella Democrazia cristiana, nel 1981, fu quello di giudicare, come capo dei probiviri del partito, le posizioni dei democristiani iscritti alla loggia massonica P2 di Licio Gelli. Un’associazione segreta che, secondo la relazione della commissione d’inchiesta parlamentare guidata da Tina Anselmi, fu un comitato di affari, ma anche un’organizzazione eversiva, vista la presenza al suo interno di rappresentanti dei servizi segreti e di personalità del mondo dell’informazione.
Di quella commissione, a partire dal 1983, fece parte anche il nuovo capo dello stato. Su quell’esperienza, e su quelle che lui chiama “le tentazioni ricorrenti del rapporto tra consorterie occulte e mondo politico”, il presidente Mattarella ha rilasciato un’intervista ad Alessandro Forlani della Rai nel 2011, in occasione del trentennale dello scandalo P2.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it