C’è una frase attribuita a Pablo Picasso che dice: “I bravi artisti copiano, i grandi artisti rubano”. Ecco, con una piccola provocazione potremmo dire che da qualche anno a questa parte i Muse si limitano a copiare. Eppure quando hanno esordito, nel 1999, Matthew Bellamy e soci erano una promessa del rock.

Nel lontano 2001 li ho visti dal vivo [a Milano][1] e mi avevano impressionato per la loro potenza e solidità. Era il tour di [Origin of simmetry][2], davvero un bel disco. E loro erano una promessa destinata a diventare realtà. Nel 2003, con l’uscita di Absolution, è arrivato il successo planetario. Ma proprio da quel momento la band ha cominciato a soffrire un po’ la pressione, cercando ogni volta l’effetto speciale a tutti i costi.

Un discorso che vale anche per il nuovo album The 2nd law, uscito nei negozi il 1 ottobre. Un disco che vuole prima di tutto stupire, abbagliare. Anche se rispetto al passato ci sono meno barocchismi, le sonorità rimangono comunque epiche, elaborate e ambiziose.

C’è il rock muscolare di Supremacy, c’è il funk alla Prince di Panic station. Mentre Survival strizza l’occhio (ormai è un vizio) ai Queen di Freddie Mercury. I testi dei brani, come spesso capita, sono ricchi di suggestioni complottiste e apocalittiche. Ci sono anche due canzoni scritte e cantate dal bassista Christopher Wolstenholme, Save me e Liquid state: la prima si adagia su atmosfere più pop, mentre la seconda è una breve cavalcata post-grunge.

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La varietà non manca, insomma. Rock nostalgico, elettronica e pop si alternano con frenesia, come sulle montagne russe. E paradossalmente il problema è proprio questo. The 2nd law non ha un filo conduttore preciso. L’ambizione di Bellamy e compagni viaggia senza direzione. E, soprattutto, è privo di canzoni all’altezza. Quelle che un tempo i Muse riuscivano a scrivere.

Lo si capisce proprio nei momenti in cui la band osa di più. Il singolo Madness è un incrocio tra U2 di Zooropa, e il glam di I want to break free, ma colpisce a vuoto. In Unsustainable l’ispirazione arriva addirittura dal guru della dubstep Skrillex.

Ma in questo territorio i Muse non sembrano a proprio agio. Come nella conclusiva cavalcata elettronica Isolated system, che a tratti omaggia il Mike Oldfield di Tubular Bells. I Muse sono una band importante, dalla quale è lecito aspettarsi tanto. Ma The 2nd law, a conti fatti, è una delusione.

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