Jake Bugg ha 18 anni. Il giorno in cui ha deciso di fare il cantautore era di fronte alla televisione e stava guardando una puntata dei Simpson. “Ho ascoltato [Vincent][1] di Don McLean e ho pensato: voglio scrivere una canzone come quella”, ha raccontato [in un’intervista][2] al Guardian. E nonostante la sua faccia imberbe e il taglio di capelli preso in prestito dai fratelli Gallagher, questo ragazzo non è l’ennesimo clone da dare in pasto alle riviste inglesi. La sua apparenza inganna.

Nato a Nottingham nel 1994, Bugg ha già in mano un contratto con la Mercury Records. È già salito sul palco di Glastonbury, ad appena 17 anni, e ha fatto da spalla ad artisti come Michael Kiwanuka e Noel Gallagher. Perché? Semplice, perché ha talento. E nonostante la giovane età ha studiato a memoria

[Donovan][3], Neil Young e Bob Dylan. Per capirlo basta ascoltare il suo album di debutto, Jake Bugg, uscito nei negozi il mese scorso.

Jake Bugg è perdutamente innamorato della musica americana. Bob Dylan è il suo riferimento più immediato e ingombrante. Ascoltare per credere Lighting bolt, un ottimo pezzo che, nonostante il debito verso Mr. Zimmerman, brilla di una luce propria. Di tributi alla musica statunitense ce ne sono diversi in questo disco. La delicata Simple as this è un omaggio spudorato a Paul Simon, mentre Note to self e la conclusiva Fire sembrano uscite dalla chitarra di Hank Williams.

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Non tutto quello che si trova in queste 14 canzoni, però, sta sotto la bandiera a stelle e strisce. A tratti Jake si ricorda di essere nato a Nottingham, nella malinconica Inghilterra. E da bravo cantautore, ma anche da artista furbo e ambizioso, fa l’occhiolino al pubblico di casa. Così Two fingers e Seen it all hanno ritornelli in stile Oasis, mentre Ballad of Mr. Jones e l’ottima Slide ricordano i Verve di Richard Ashcroft.

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Insomma, il cantautore di Nottingham è molto giovane ma sa già bene da che parte andare. È così antistorico e fiero delle sue pose alla Woody Guthrie che fa anche un po’ tenerezza. E i suoi riferimenti musicali si indovinano al volo, spesso al primo ascolto. L’arrangiamento delle canzoni a volte è un po’ piatto: qualche chitarra, specie negli assoli, potrebbe essere più robusta.

Eppure Jake Bugg è un album davvero piacevole da ascoltare, con almeno una manciata di pezzi di ottimo livello. Il talento c’è, nonostante qualche difetto qua e là, e va salvaguardato. Teniamolo d’occhio, il giovane Jake Bugg.

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