Gorillaz, Charger
Il mondo è andato fuori di testa, meglio ballarci sopra. Questo è il concetto che sta dietro a Humanz, il nuovo disco dei Gorillaz. A partire dal 2014, Damon Albarn aveva chiesto ai suoi numerosi ospiti (sono 16 per 20 canzoni) di lavorare ai brani immaginando gli Stati Uniti dopo un’eventuale vittoria di Donald Trump. Purtroppo ci ha preso.

Humanz è un disco ibrido: i suoni sono da party, i testi sono impegnati. Gli ospiti arrivano soprattutto dal mondo dell’hip hop e dell’rnb contemporaneo (Vince Staples, Kelela, Danny Brown, Pusha T). Come al solito, a Damon Albarn piace anche ridare vigore alle star del passato, e così ecco Mavis Staples, Noel Gallagher degli Oasis (che non è Matusalemme, ma non è neanche un pivello) e soprattutto Grace Jones, la cui presenza aggressiva caratterizza Charger, uno dei pezzi migliori.

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Non è l’unico momento esaltante dell’album: Saturn barz, arricchita dalla voce del giamaicano Popcaan, è una brillante cantilena con suoni da dance hall giamaicana, Andromeda è un sentito omaggio al pop degli anni ottanta (vi consiglio di ascoltare questo podcast in cui Albarn racconta la genesi della canzone), la conclusiva We got the power (dove oltre a Noel Gallagher c’è anche Jehnny Beth delle Savages) è il numero più felicemente brit del lotto.

Insomma, Humanz non è da buttare: contiene almeno un paio di singoli notevoli, ma difetta di coesione. E sinceramente è lontano dai livelli di Gorillaz, Demon days e Plastic beach. Per apprezzarlo al massimo va ascoltato più come una playlist che come un album. Per quanto riguarda la follia mondiale che l’ha ispirato, purtroppo, non c’è neanche bisogno dell’immaginazione.

Feist, Century
Pleasure, il nuovo disco della cantautrice canadese Feist, è più giocoso del precedente Metals, uscito nel 2011. Non ha la stessa epicità, la stessa ricerca costante del dramma che animava quelle canzoni meravigliose. Forse stavolta Feist voleva alleggerirsi di quel peso, almeno un po’.

Nonostante questo, Pleasure non è un album superfluo, tutt’altro. È un altro saggio di bravura della cantante canadese, dotata di una voce intensa ed espressiva, come ce ne sono poche in giro. Anche stavolta Feist ci ha regalato grandi canzoni come Get not high, get not low, una specie di country post atomico, come la sofferta Any party e la sferzante Century, dov’è ospite l’ex cantante dei Pulp Jarvis Cocker. L’impressione, dopo i primi ascolti, è che, come i precedenti, anche questo disco crescerà alla distanza.

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Ennanga Vision, Otim’s war
Per registrare il suo ultimo disco, pubblicato con lo pseudonimo Ennanga Vision, il musicista londinese Jesse Hackett (già membro della band Owiny Sigoma e tastierista nei tour dei già citati Gorillaz) ha scelto di fare un lungo viaggio in Uganda. Ha registrato le sue nuove canzoni insieme al polistrumentista ugandese Albert Ssempeke e ad altre leggende della musica locale, esplorando in particolare il nord nel paese.

Il padre di Ssempeke suonava per i reali di Buganda e il figlio ha tramandato il suo gusto raffinato per gli strumenti tradizionali del folk ugandese. La forza di Otim’s war è l’abilità nel mescolare l’elettronica con la musica africana, anche in modo giocoso e divertente. Il disco uscirà a giugno per la Soundway Records e promette molto bene.

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Roger Waters, Smell the roses
Tra un paio di mesi Roger Waters, un signore di una certa età che una volta suonava il basso in una discreta band britannica chiamata Pink Floyd, pubblicherà il suo primo disco solista in 25 anni. L’album è stato registrato in compagnia di Nigel Godrich (noto soprattutto come collaboratore storico dei Radiohead, ma ha lavorato anche con Beck e i Travis). Godrich probabilmente spera di ripetere l’esperimento ben riuscito con Paul McCartney, che nel 2005 fruttò lo splendido Chaos and creation in the backyard.

Il nuovo disco di Waters s’intitola Is this the life we really want? e uscirà il 2 giugno. Il primo singolo, Smell the roses, non è proprio esaltante, a dirla tutta: assomiglia a Have a cigar e Any colour you like con una spruzzata di Animals, ma senza avere l’ispirazione dei capolavori del passato. Concediamo comunque una seconda possibilità a questo arzillo vecchietto, dopotutto se la merita.

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P.S. Se interessa, sto continuando ad aggiornare la playlist di aprile su Spotify.

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