Bruce Springsteen, Janey needs a shooter
Il nuovo disco di Bruce Springsteen si apre con l’immagine di un treno, un grande treno nero. Un treno che fa pensare alla morte, il tema al centro del primo brano, One minute you’re here. Non è un caso. La ferrovia, come c’insegna lo storico Alessandro Portelli, è stata una metafora della modernità molto ricorrente nella musica leggera statunitense. “Quando un uomo ha il blues, monta su un treno merci e va”, racconta Portelli nel podcast Mystery train.

Bruce Springsteen, che conosce la musica popolare statunitense come le sue tasche, ha fatto sua questa metafora in più occasioni. Lo fece, per citare solo un paio di esempi, in Downbound train ai tempi di Born in the U.S.A. e l’ha fatto in Land of hope and dreams, un brano nel quale il treno diventata un mezzo celeste di liberazione, una specie di Arca di Noè dei perdenti e degli ultimi.

Stavolta il treno (poco dopo spunta anche un brano intitolato Burnin’ train a rafforzare il concetto) trasporta i ricordi del passato, e ci introduce al disco più nostalgico della carriera di Springsteen. Letter to you infatti è un album pieno di riferimenti ai compagni di una vita che non ci sono più, come il sassofonista Clarence Clemons e Danny Federici, un tempo colonne della E Street Band, e George Theiss, il fondatore dei Castiles, la prima band di Springsteen, morto nel 2018. Un chitarrista e cantante molto talentuoso che non riuscì mai ad avere successo, una specie di sfortunato alter ego del Boss. A lui sono dedicati esplicitamente due brani, Last man standing e la muscolare Ghosts, un pezzo con batteria e chitarre in primo piano.

A proposito di nostalgia, in questo disco ci sono ben tre brani scritti negli anni settanta, a partire da Janey needs a shooter, il pezzo migliore in assoluto, la storia di una ragazza piena di spasimanti che fa pensare a certe atmosfere del disco giovanile The wild, the innocent & the E Street shuffle. E dove tra l’altro il Boss sfodera una performance vocale da ragazzino. Dagli archivi sono uscite fuori anche If I was a priest, un ottimo pezzo dal tono gospel, e la dylaniana Song for orphans.

L’altra cosa evidente di Letter to you è la bravura incredibile della E Street Band. Il disco è stato registrato in soli quattro giorni nello studio Thrill Hill Recording nel New Jersey, tutto in presa diretta e praticamente senza sovraincisioni. Suona come un album dal vivo, ed esalta la band guidata da Steve Van Zandt, una macchina da guerra ben oliata dopo decenni di gavetta tra locali, palazzetti e stadi. Il batterista Max Weinberg, 69 anni, è veramente eroico per la forza che riesce a dare alle ritmiche. A tratti è il gruppo a essere il vero protagonista, più che Springsteen. Quasi come se volesse congedarsi dal pubblico, come se questo fosse l’ultimo album registrato insieme al Boss. Di politica invece non c’è quasi traccia, anche se il disco esce alla vigilia delle elezioni statunitensi: forse solo Rainmaker, storia di un truffatore che si approfitta dei contadini disperati per la siccità, fa pensare alla demagogia di Donald Trump.

A dirla tutta però Letter to you ha un difetto: la retorica. Una delle qualità più invidiabili di Bruce Springsteen è la capacità di saper essere semplice, autentico ma mai scontato. Stavolta però a tratti i sentimenti lo trascinano troppo e lo fanno diventare un po’ didascalico, come in House of thousand guitars e nella chiusura di I’ll see you in my dreams.

Letter to you non è di certo uno dei dischi migliori di Springsteen, e ha la sfortuna di arrivare poco dopo il sorprendente Western stars, un album nel quale il Boss aveva trovato una strada brillante per rinnovare il suo stile. Da un punto di vista dell’ispirazione, tra i due non c’è partita. Letter to you però è un album che suonerà sicuramente bene dal vivo ed è sicuramente quello che tanti fan volevano, visto che la E Street Band si prende la scena che si merita e lo stesso Springsteen omaggia il suo passato musicale. Quando finirà questa pandemia, speriamo il prima possibile, sarà bello tornare a godersi questa combriccola del New Jersey, che quando sale sul palco non delude mai.

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Gorillaz, The pink phantom (feat. Elton John and 6lack)
Solo a Damon Albarn potrebbe venire in mente di far cantare nello stesso brano Elton John e un rapper come 6lack. Ogni volta che il musicista britannico pubblica un disco dei Gorillaz ci regala splendidi cortocircuiti musicali come questi. A dirla tutta però, non tutto Strange timez funziona alla perfezione. Spesso si ha l’impressione che l’abbondanza di brani, ospiti e spunti annacqui la musica più che arricchirla. Si ha quasi un senso di confusione, d’incertezza (probabilmente voluto dallo stesso Albarn) ma non è un disco semplice da digerire. Pazzesco, forse neanche Damon Albarn è perfetto.

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Adrianne Lenker, Two reverse
La leader dei Big Thief Adrianne Lenker si conferma una splendida autrice pop folk in questo suo nuovo disco solista, che è diviso in due parti, una cantata e una strumentale. Lenker una voce obliqua, toccante, e una capacità di scrivere canzoni per niente comune.

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El Grupo Folclórico,Tamba
L’etichetta Analog Africa ha pubblicato uno dei dischi più divertenti usciti nel 2020. È una compilation intitolata La locura de Machuca 1975​-​1980, che esplora l’underground musicale della Colombia dalla seconda metà degli anni settanta, mettendo insieme i suoni bizzarri dell’etichetta Discos Machuca. Sono 17 pezzi molto diversi uno dall’altro, che pescano dalla tradizione afrocolombiana. Uno spasso.

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Speranza, Fendt caravan
Nel rap italiano negli ultimi anni sono successe alcune cose interessanti. Una di queste è Speranza, rapper nato e cresciuto in Francia e poi trasferitosi a Caserta. Il suo primo disco, L’ultimo a morire, è uscito il 15 ottobre e questa settimana si è piazzato al terzo posto tra i più venduti in Italia. Questo è uno dei singoli estratti, dove si apprezza la capacità del rapper di mescolare italiano, dialetto casertano e francese.

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mP.S. Playlist aggiornata, buon ascolto!

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