Parlando di internet ogni previsione è inutile. John Naughton, del Guardian, ha definito la rete un “generatore globale di sorprese”. I giornali degli ultimi vent’anni sono pieni di profezie tecnologiche che non si sono mai avverate. Ma questo non impedisce che si continui a fare previsioni di ogni tipo. Con una particolare predilezione per il “finismo”, corrente di pensiero che non ha nulla a che vedere con il presidente della camera italiano e che consiste invece nel prevedere la fine imminente, per colpa della rete, di qualunque cosa: dai giornali alla capacità di concentrarsi, dai rapporti interpersonali ai supermercati, dalle lettere scritte a mano alla civiltà occidentale. Per questo sono importanti le ricerche che misurano i comportamenti reali delle persone: perché forniscono informazioni concrete e sono l’unico modo attendibile per individuare possibili tendenze. L’ultimo rapporto del Pew research center ha rivelato una serie di dati interessanti: oggi negli Stati Uniti le persone passano più tempo a informarsi rispetto a dieci anni fa; il 44 per cento degli americani s’informa anche con internet, ma solo il 9 per cento usa unicamente la rete per informarsi; il consumo di mezzi di comunicazione tradizionali è rimasto stabile. In pratica vuol dire che le nuove tecnologie si stanno integrando nelle abitudini informative delle persone, coabitando serenamente con radio, tv e giornali. Con buona pace di chi ne prevedeva la fine.
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