Tra cinquecento anni nei libri di storia non si parlerà della crisi economica europea, del ventennio berlusconiano o delle beghe interne al Partito democratico. Tra cinquecento anni nei libri di storia si parlerà della strage che nel ventunesimo secolo uccise quasi ventimila persone alle porte dell’Europa. Lo ha detto il sindaco di Ferrara, Tiziano Tagliani, aprendo il festival di Internazionale.
Non è una tragedia. Non è un dramma. Non è un incidente. È un crimine e definirlo altrimenti è ipocrita. Ventimila morti sono il risultato di scelte politiche che hanno come obiettivo la fortificazione dei confini europei (costo, solo per l’Italia: un miliardo e 668 milioni di euro di risorse nazionali e comunitarie tra il 2005 e il 2012).
Questo apparato di sicurezza, che non distingue tra profughi e migranti in cerca di lavoro, e che non è cambiato malgrado la crisi e il modificarsi del contesto geopolitico (per esempio i conflitti nei paesi di provenienza), ha come effetto non indesiderato la creazione di quella che alcuni hanno definito “industria della clandestinità”. I migranti che riescono a sfuggire alla detenzione finiscono in un ingranaggio che li sfrutta, ridotti in condizioni di sostanziale schiavitù, trasformati in manodopera a buon mercato nelle mani delle organizzazioni criminali.
Per impedirlo, servirebbero un sindacato e una sinistra che oggi, in Italia e in Europa, non ci sono. Ma intanto è possibile fare almeno due cose. La prima è un corridoio umanitario per i profughi che cercano di lasciare le zone di guerra in modo che possano chiedere asilo senza doversi imbarcare e rischiare la vita. La seconda è teoricamente ancora più facile: abolire la legge Bossi-Fini (“Un compendio di inciviltà”, l’ha definita Stefano Rodotà). Basterebbe un semplice voto del parlamento per cancellare una legge sbagliata e dare un segnale minimo di civiltà.
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