“Benvenuto nella sesta città italiana”, ha detto il sindaco di Londra, Boris Johnson, accogliendo Matteo Renzi in visita ufficiale nella capitale britannica ad aprile. I dati ufficiali parlano di 90mila italiani arrivati a Londra negli ultimi due anni. Secondo stime approssimative, sono almeno trecentomila quelli che oggi vivono e lavorano nella città inglese (sarebbero circa 550mila in tutto il Regno Unito).
L’ambasciata e il consolato calcolano che ogni due giorni arrivi a Londra un aereo pieno di ragazzi italiani che hanno deciso di vivere lì, almeno per un po’, malgrado la città sia una delle più care del mondo. Vengono soprattutto da Roma, Milano, Torino e Napoli. Famiglie intere e single, ingegneri e giornalisti, camerieri e informatici, parrucchieri e broker.
“Poi ci sono anche quelli che vengono per un corso d’inglese e stanno qualche mese, quelli che vengono per vari motivi e decidono di rimanere. Oppure quelli che, dopo qualche anno, tornano in Italia”, spiegava qualche tempo fa il console Massimiliano Mazzanti al Fatto Quotidiano. Il 60 per cento ha meno di 35 anni, e il 25 per cento ha tra i 35 e i 44 anni. Sono così tanti che il consolato londinese ha avviato il progetto Primo approdo: un workshop per aiutare i ragazzi a superare gli scogli della vita nella capitale.
A partire dalla sua esperienza personale, la giornalista Caterina Soffici ha scritto un libro, Italia yes, Italia no, in cui racconta: “Sei seduto in metropolitana, con tutti questi inglesi educati e silenziosi, immersi nelle loro letture, e ti chiedi: che ci faccio qui? Perché ce ne siamo venuti via? Perché a Londra si vive peggio, ma si sta meglio. Londra non è meglio dell’Italia. Ma a Londra io ho trovato la banalità della normalità. Qui si può finalmente uscire dall’emergenza continua, qui si può vivere normalmente. Ecco perché a Londra si vive peggio ma si sta meglio. Perché è un posto normale. È l’Italia a non esserlo più”.
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