“E finalmente arrivò il settembre. A quell’epoca le lezioni finivano a luglio, l’agosto torrido era per la villeggiatura, come si chiamava all’epoca, l’Algarve non esisteva, voglio dire che esisteva geograficamente, ma non ci andava nessuno, e del resto chi poteva andarci? Per arrivarci dovevi attraversare il Tago in traghetto, se avevi la macchina, e poi infilarti in uno stradone che attraversava l’Alentejo e poi in stradine sperdute per passare le montagne di Monchique, e poi arrivavi alle spiagge dell’Algarve, bellissime, dove non c’era nulla e nessuno, qualche raro villaggio di pescatori, una capanna di foglie qua e una là, lontane su quei sabbioni, il contadino vendeva meloni, fichi e angurie, alcuni hippies erano arrivati dall’Inghilterra, ragazzacci brutti che dormivano in una tenda e che si spostavano per evitare la Guarda Nacional Republicana, cercavano il paradise now e pensavano di averlo trovato là, fra quelle dune selvatiche”.
Comincia così il testo inedito di Antonio Tabucchi che la moglie, Maria José de Lancastre, ci ha mandato qualche giorno fa. Racconta il Portogallo degli anni settanta. Descrive parole, portoghesi e italiane. Parla di Gramsci e di autobus sgangherati, di Africa e di castagni centenari.
È un testo ritrovato in un quaderno di appunti, scritto da Tabucchi qualche mese prima di morire. Non fece in tempo a rivederlo e soprattutto a concluderlo. Tanto che l’ultima riga contiene solo due lettere: “Il”. Come l’inizio di una frase che chi legge può solo immaginare e chi scrive non ha forse neppure pensato, perlomeno in modo compiuto. Uscirà su Internazionale la prossima settimana.
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