Si sforzano, ma proprio non ci riescono. Un anno dopo aver finalmente rivelato la composizione etnica e di genere della sua forza lavoro ed essersi impegnata a migliorare la situazione, Google deve ammettere di non esserci riuscita. Le donne sono solo il 18 per cento dei dipendenti tecnologici di Google in tutto il mondo, appena l’1 per cento in più rispetto al 2014.
Negli Stati Uniti i dipendenti bianchi di Google sono il 59 per cento e quelli di origine asiatica il 35 per cento. Gli afroamericani sono il 2 per cento e gli ispanici il 3 per cento (per fare un confronto, nell’insieme dei settori industriali statunitensi gli afroamericani sono il 12 per cento e gli ispanici il 14 per cento). A Google lavorano 53.600 persone, e nel 2014 i nuovi assunti sono stati 9.700. Nonostante questo, e nonostante i programmi per incentivare la formazione scolastica e l’assunzione di donne, afroamericani e ispanici, i risultati sono deludenti.
Nel resto dell’industria tecnologica, dalla Apple a Facebook, le cose non vanno meglio. Non è solo una questione di giustizia sociale: quello che le aziende fanno o producono è il riflesso anche delle persone che ci lavorano, che studiano, pensano e progettano, dei loro bisogni e della loro cultura. E oggi i software, i programmi e i siti che tutti usiamo ogni giorno, ovunque nel mondo, sono pensati quasi esclusivamente da maschi bianchi. E si vede.
Questo articolo è stato pubblicato il 5 giugno 2015 a pagina 5 di Internazionale, con il titolo “Riflesso”. Compra questo numero | Abbonati
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