Difficile sintetizzare in poche righe The big short, in italiano La grande scommessa. Il film di Adam McKay, basato sull’inchiesta giornalistica di Michael Lewis, è appena uscito e racconta la crisi finanziaria cominciata nel 2008, quella che ha fatto perdere il posto a milioni di lavoratori, la casa a milioni di famiglie e ha provocato il collasso di diversi paesi europei.
“Si esce arrabbiati, nauseati e disperati”, ha scritto il New York Times. Perché non c’è lieto fine, come sappiamo, e non c’è nessun responsabile che paga per quello che è successo (“Daranno la colpa agli immigrati e ai poveri”, dice verso la fine uno dei protagonisti). The big short non offre neanche possibili soluzioni. Ogni tentativo di regolamentare il mercato è fallito, la commissione del congresso americano incaricata nel 2009 di esaminare le ragioni della crisi non è riuscita a introdurre nessun efficace meccanismo correttivo, come invece aveva fatto una commissione simile negli anni trenta, e oggi, secondo molti, tutto è ricominciato come se niente fosse.
L’economista Paul Krugman ha recensito con entusiasmo il film e lo ha difeso: chi attacca The big short, ha detto Krugman, ha paura che si sappia la verità. Perché è vero che chi non ricorda il passato è condannato a ripeterlo, ma alcuni il passato lo vogliono ripetere. E per questo non hanno interesse a farci ricordare cos’è successo.
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