E ancora una volta gli elettori andranno a votare dopo aver discusso per settimane su questioni poco rilevanti. Le frasi volgari di Donald Trump, le email del Blackberry di Hillary Clinton. Uno dei meriti di Bernie Sanders era stato, malgrado una campagna per le primarie forse ingenua e piena di sbagli, l’aver finalmente spostato tutto il dibattito sulle scelte concrete in campo politico, economico e sociale dei due candidati, sulla loro visione del mondo e sulle forti differenze che li separavano. Lo stesso non si può dire di Clinton e Trump.
In un articolo uscito a maggio, Newsweek raccontava la lunga amicizia tra le due famiglie, le partite a golf di Bill e Donald, le foto insieme durante le feste, i ricevimenti e i matrimoni, le pubbliche dichiarazioni di stima reciproca, perfino l’amicizia tra le figlie, Ivanka e Chelsea, fino a una telefonata dell’anno scorso, resa pubblica dal Washington Post, in cui Bill Clinton incoraggiava Trump ad assumere un ruolo sempre più importante nel Partito repubblicano.
Hillary Clinton è una democratica moderata, un solido prodotto dell’establishment statunitense, da quarant’anni protagonista della vita pubblica (giovanissima, era nella squadra di avvocati che seguì il caso Watergate) e se sarà eletta dovrà vedersela con un paese spaccato, in cui i guasti della campagna elettorale di Trump si faranno sentire ancora a lungo.
Dalla periferia dell’impero, noi spettatori lontani non possiamo che tifare per lei. Senza troppo entusiasmo, consolandoci con il valore simbolico che rappresenterebbe una donna alla presidenza degli Stati Uniti e augurandoci che riesca a evitare una tragedia come l’elezione di Donald Trump.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it