A prima vista sembra una sciocchezza: lasciarsi scappare un’azienda pronta a creare 25mila posti di lavoro. Ma se si guarda bene, la realtà è più complicata. Da una parte c’è Amazon, la più grande azienda statunitense (800 miliardi di dollari di valore in borsa), di Jeff Bezos, l’uomo più ricco del mondo (133 miliardi di patrimonio personale). Dall’altra ci sono i 60mila abitanti di Long Island City, un’ex area industriale di fronte a Manhattan. Nel 2017 Amazon, che ha sede a Seattle, aveva annunciato l’intenzione di costruire un secondo quartier generale e aveva messo in competizione tra loro le città americane per vedere chi offriva più incentivi. New York, di cui Long Island City fa parte, aveva offerto tre miliardi di dollari e alla fine l’aveva spuntata.

Ma Amazon non ha mai avuto molta pazienza con le comunità locali. Quando l’anno scorso Seattle ha proposto una tassa per finanziare gli aiuti ai senzatetto, Amazon ha minacciato di bloccare gli investimenti e il comune ha fatto marcia indietro. Molti abitanti di Long Island City, sostenuti da politici come Alexandria Ocasio-Cortez, hanno espresso i loro timori per le possibili conseguenze dell’arrivo di Amazon: aumento del costo della vita e degli affitti, sovraffollamento delle scuole, collasso del traffico. Tutti problemi che città come San Francisco e Oakland vivono da anni. A questo si è aggiunto il rifiuto di Amazon di consentire ai futuri dipendenti di iscriversi ai sindacati.

Non sentendosi accolta come avrebbe voluto, il 14 febbraio la società di Bezos ha deciso di ritirarsi (lo stesso giorno è uscita la notizia che per il 2018 Amazon non dovrà pagare tasse federali anche se ha avuto 11,2 miliardi di dollari di profitti). Bill de Blasio, sindaco democratico di New York, all’inizio favorevole all’arrivo di Amazon, ha provato a parlare con Bezos per avere spiegazioni. Ma non c’è riuscito. E sul New York Times ha scritto: “Amazon ha fatto i capricci, di fronte alle proteste ha preso il pallone e se n’è andata”.

Questo articolo è stato pubblicato sul numero 1295 di Internazionale.

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