Ezra Klein è un giornalista del New York Times e qualche giorno fa ha intervistato Barack Obama per il suo podcast.

Verso la fine, il giornalista gli ha fatto una domanda scherzosa sugli ufo: se si scoprisse che ci sono gli alieni, cosa cambierebbe per lei dal punto di vista politico? Niente, ha risposto l’ex presidente degli Stati Uniti, perché tutta la mia politica è basata sul fatto che siamo minuscoli organismi su un piccolo puntino che galleggia nello spazio.

“Non ricordo se sia stato Clarence Darrow, Abraham Lincoln o qualcun altro a dire che il modo migliore per averla vinta in una discussione è innanzitutto essere in grado di sostenere l’argomento dell’interlocutore meglio di quanto possa fare lui stesso. Per me, questo significa capire il punto di vista dell’altro. E non aspettarmi che l’altro capisca il mio se io non mi offro di capire il suo”.

C’entrano il suo carattere e la sua storia personale. “Se sei un ragazzo i cui genitori vengono dal Kansas e dal Kenya, sei nato alle Hawaii e vivi in Indonesia, è naturale che tu debba capire come si incastrano tutti questi pezzi. Come si conciliano tutte queste prospettive, culture, punti deboli e pregiudizi per approssimarsi a qualcosa di vero. E penso che questo si sia trasferito nel mio modo di far politica”.

È un modo che, dice Obama, ammette il dubbio e parte dal presupposto che nessuno di noi abbia il monopolio della verità. “Se lo pratichi abbastanza a lungo, forse non ti permette di convincere sempre gli altri, ma almeno ti dà una base solida da cui puoi, con fiducia, dire: so cosa penso. So quello che credo”.

Per cercare di tirar su il morale dei suoi collaboratori nei momenti difficili, Obama gli ricordava che, secondo gli scienziati, ci sono più stelle nell’universo conosciuto che granelli di sabbia sulla Terra.

“Le differenze che abbiamo su questo pianeta sono reali. Sono profonde. E sono fonte di enormi tragedie così come di gioie. Ma siamo solo un gruppo di esseri umani con dubbi e incertezze. E la cosa migliore che possiamo fare è trattarci bene a vicenda, perché siamo tutto ciò che abbiamo”.

Questo articolo è uscito sul numero 1413 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati

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