Quando si scambiano l’Osce con l’Ocse e il nipote di Gandhi con il pronipote, quando si recensisce un dvd senza citare il titolo, quando per tre settimane si pubblicano numeri sbagliati e la casella di posta delle Correzioni si riempie di segnalazioni inviate dai lettori, allora può capitare di scoraggiarsi. A che serve riflettere sui nostri errori? Per fortuna possiamo consolarci con i grandi punti di riferimento del giornalismo mondiale. “Nel 2011 abbiamo pubblicato 3.500 correzioni nell’edizione cartacea e 3.500 online”, ha scritto la settimana scorsa Arthur S. Bris­bane, il garante dei lettori del New York Times. Probabilmente è solo la punta dell’iceberg.

Uno studio del 2005 condotto su 14 giornali statunitensi (ma non sul New York Times) ha rilevato che il 60 per cento degli articoli contiene errori perché non è abbastanza fedele alle fonti. “E solo una fonte su dieci li contesta”. Greg Brock, che dal 2006 si occupa delle correzioni al New York Times, calcola che il giornale riceve 14mila segnalazioni di errori all’anno. Non tutti sono facili da correggere, osserva Brisbane: “Spesso stabilire se un errore è veramente un errore è più difficile che scrivere senza errori”. L’importante è continuare a sforzarsi. “Paradossalmente, più correzioni ci sono e meglio è”.

Internazionale, numero 938, 2 marzo 2012

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