Jose Antonio Vargas è un giornalista statunitense nato nelle Filippine. A giugno del 2011, in un articolo uscito sul New York Times Magazine e poi pubblicato da Internazionale (n. 912), ha confessato di essere un immigrato irregolare e di aver falsificato i suoi documenti. E ora ha lanciato una campagna contro l’uso dell’espressione illegal immigrant, immigrato illegale.
“È una definizione che disumanizza ed emargina le persone”, ha spiegato durante una conferenza a San Francisco. Vargas propone di sostituirla con
undocumented worker, lavoratore senza documenti. Il New York Times e l’agenzia di stampa Associated Press, i due bersagli dichiarati della campagna di Vargas, hanno risposto che l’espressione illegal immigrant è corretta e neutra: si limita a rispecchiare una condizione di fatto. Ma si può dire che una persona è fuorilegge solo perché è entrata in un paese senza documenti?
Potrebbe essere un rifugiato o la vittima di una tratta o avere i requisiti per fare richiesta di asilo. Per questo a Internazionale ci sforziamo di evitare termini come “clandestino”, ormai diventato quasi sinonimo di immigrato, e “illegale”. Semmai preferiamo parlare di immigrati irregolari. Anche perché, come ha detto Vargas, “illegali sono le azioni, non le persone, mai”.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it