“Se mi si chiede un editoriale, chiedo che sia pubblicato come l’ho scritto. Se lo comincio con ‘Uff! L’abbiamo scampata bella’ pretendo che non venga cambiato senza essere avvertito”. È difficile credere che Marco D’Eramo abbia lasciato il Manifesto per un semplice “Uff!”, ma la lettera con cui l’8 novembre ha comunicato ai colleghi le dimissioni comincia con una lamentela sulla revisione di un suo articolo.
Una di quelle recriminazioni che si sentono ogni tanto nelle redazioni dei giornali, e Internazionale non fa eccezione. Eppure il giornalista e il copy editor, o chi rivede l’articolo, non dovrebbero essere avversari. Hanno lo stesso obiettivo: produrre un testo leggibile ed efficace. Il giornalista però tende a proteggere l’articolo da quelli che gli sembrano degli attentati al suo lavoro.
Per conquistare la sua fiducia e farsi ascoltare, il copy editor deve essere anche un po’ psicologo: le sue correzioni deve saperle spiegare, difendere e porgere all’interlocutore. Deve essere rassicurante, convincente e assertivo, mai aggressivo o invadente; pronto a difendere le sue scelte ma anche, a volte, a fare un passo indietro. Il dialogo con l’autore può essere difficile, ma il risultato farà contenti tutti: il lettore avrà un testo più leggibile, l’autore apparirà più brillante e il copy editor più autorevole.
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