“La nostra lingua è complessa, profonda, affascinante. E recalcitrante a regole troppo strette”, osserva Vittorio Oliva. Il riferimento è alla rubrica Le correzioni della scorsa settimana, in cui sottolineavo l’importanza di essere concisi.

Il nostro lettore dice una cosa sacrosanta: infatti se è vero che, sfrondato dalle ripetizioni e dalle parole superflue, un testo diventa più efficace e diretto, è anche vero che le ripetizioni non sono da evitare a tutti i costi. Anzi! Però bisogna distinguere tra quelle inutili, che diluiscono il messaggio indebolendolo, e quelle che rispondono a una strategia.

Prendete lo scorso numero di Internazionale: si può ripetere un sostantivo per chiarire di cosa si sta parlando e dare coesione al testo (Giovanni De Mauro usa sei volte la parola “intercettazioni” – anche al singolare – nel suo editoriale); si può ripetere l’inizio di una frase per essere perentori (“La distinzione da fare non è… La distinzione da fare è…”, Bill Keller a pagina 95); si può ripetere un avverbio per aggiungere enfasi a un pensiero (“Così lontani, così vicini”, Amira Hass a pagina 17); e poi, se non l’avete ancora capito, si può ripetere la struttura di una frase per dare ritmo al discorso e rafforzare un concetto (come nella rubrica che avete appena letto).

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