A volte li chiamiamo migranti. Altre volte immigrati. Nello scorso numero per errore abbiamo fatto un miscuglio e li abbiamo chiamati due volte immigranti (pagina 28 e pagina 74). Non è sbagliato, ma che confusione! Meglio restare fedeli ai termini che abbiamo sempre usato.

Il migrante è una persona che sta migrando. È in transito: ha lasciato il suo paese d’origine e non ha ancora raggiunto una destinazione. Invece l’immigrato ha completato la migrazione: dopo aver lasciato il suo paese si è trasferito altrove, temporaneamente o stabilmente. A volte anche se vive e lavora da anni in un altro paese, la gente continua a chiamarlo immigrato: il rischio è che alla lunga diventi un modo per indicare una presunta diversità. Per questo molti preferiscono usare per tutti la parola migrante: indica uno stato transitorio, ed è più difficile trasformarla in un’etichetta.

Tra gli immigrati di cui si parlava nello scorso numero c’erano profughi e rifugiati: i primi in genere sono in fuga da guerre, invasioni, rivolte o catastrofi naturali, i secondi sono perseguitati per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza a un determinato gruppo sociale, e dovrebbero godere della protezione legale, dell’assistenza e dei diritti sociali stabiliti dalla convenzione di Ginevra.

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