In India “comincia a essere messo in discussione l’inglese come lingua ufficiale della vita pubblica”, si legge sullo scorso numero di Internazionale (pagina 59). Se ne sono accorti non solo gli editori dei quotidiani, che negli ultimi anni hanno lanciato nuove edizioni nelle lingue locali, ma anche il premier Narendra Modi, che forse ha vinto le elezioni anche grazie a una campagna elettorale condotta soprattutto in hindi e in gujarati.

Il 26 maggio Modi si è insediato pronunciando il giuramento in hindi, non in inglese come il suo predecessore. E ha ordinato ai funzionari di New Delhi di usare l’hindi sui social network. Il sito di Modi è in inglese, ma ha anche versioni in sanscrito, telugu, pangiabi, oriya, gujarati, canarese, tamil, assamese, urdu, hindi, malayalam e marathi, oltre che in russo, spagnolo, giapponese e cinese.

Prima del voto il partito di Modi ha cercato di raggiungere il maggior numero di elettori possibile con video, tweet e slogan nelle lingue locali. Ma ad aprile ha trasmesso degli spot elettorali in hindi negli stati del sud, dove si parla prevalentemente tamil, canarese, telugu e malayalam. In un paese con centinaia di dialetti, 22 lingue ufficiali e 29 lingue parlate da almeno un milione di persone, sono errori che possono capitare.

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