Qui a Roma è arrivata il 6 novembre. Lo avevano annunciato tv e giornali: bomba d’acqua sulla capitale. Ormai tutti sanno cosa significa, anche i bambini (quelli romani esultano: scuole chiuse!). Eppure fino a qualche anno fa quest’espressione, che i meteorologi usano quando la pioggia supera i 50 millimetri in due ore, era quasi sconosciuta.

La Treccani l’ha inclusa tra i neologismi del 2014: “nubifragio di particolare violenza e intensità”. È nata sul modello della parola inglese cloudburst, formata da cloud (nuvola) e burst (esplosione). Cloudburst è il nostro nubifragio: una nube (dal latino nubes) che si frange, si rompe (dal latino frangĕre).

Ma in questi anni di stravolgimenti climatici ed eventi meteorologici estremi, a un certo punto i giornali e le tv hanno deciso che il nubifragio non bastava più. In effetti l’espressione bomba d’acqua è molto più forte: evoca guerra, devastazione, scuole chiuse e sirene. Genera allarme. Altro che ombrello.

I giornalisti hanno un debole per queste espressioni enfatiche e angoscianti che catturano l’attenzione del lettore. Ma sono artifici retorici che possono distorcere i fatti. Gli studenti romani non sono andati a scuola a causa di un temporale particolarmente intenso e violento.

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